nell’attesa…
di luca chiarei

E’ ormai un mese che rimastico continuamente queste riflessioni, un po’ per una fatica di scrivere che sempre più prende il sopravvento, un po’ perché la materia di cui vorrei parlare, ogni giorno si fa sempre più ripida, nel senso che la sensazione crescente è quella di una spirale nella quale ci si avvita fino all’insensatezza. E’ dunque un mese che ricordo quando da ragazzino iniziai a studiare la storia con un minimo di consapevolezza, in particolare le vicende della Ia e IIa guerra mondiale, c’era un aspetto di che mi interessava e inquietava particolarmente: la vita quotidiana delle persone nell’imminenza di un evento, in quel momento solo intuibile, che incuteva timore ma era ancora da vivere, ancora da diventare la storia che oggi conosciamo e studiamo. Mi piaceva immaginare che cosa pensavano, progettavano, facevano le persone, la “gente” di allora; se andavano e come, a teatro, al cinema quando c’era, nei bar, nelle banche…
Me lo chiedo perché mi pare che l’attuale presente ricorda molto quella situazione. Con una guerra in piena regola nel centro dell’Europa stiamo qui ad annusare l’aria, fare analisi, progetti di vario tipo; andiamo avanti così, come abbiamo sempre fatto, come se questa ombra della guerra, ormai allungata incombente e imprevedibile su di noi, non ci fosse. Se allora mi chiedevo come era possibile che nel 1917 o nel 1939 non ci fosse la percezione di quello che stava per accadere, del dramma imminente sulla quotidianità di allora; se mi domandavo come era possibile che la stragrande maggioranza accettasse silenziosamente quello che stava per accadere, oppure in alcuni casi addirittura lo auspicasse, la risposta oggi l’ho trovata ed è semplice: facevano così come facciamo ora. Ora come allora stiamo dentro una sorta di conto alla rovescia, ovattati nel bombardamento dei media e dei consumi, sconosciuti nel secolo scorso, e semi-incoscienti/indifferenti di quello dovrebbe accadere o accadrà. E che accadrà mi pare sia solo, sperando di sbagliarmi e essere smentito dai fatti, una questione di tempo:
- Dall’aggressione della Russia all’Ucraina con il conseguente diritto alla legittima difesa del popolo Ucraino aggredito siamo passati, ad un anno dal suo inizio, ad una guerra di posizione di cui non sappiamo l’esito e le conseguenze nel breve e medio periodo. L’occidente, la Nato, gli alleati (perché questo è il lessico della guerra) perseguono l’utopia di una strategia politico-militare per la quale sia possibile che una parte possa sconfiggere l’altra e poi dettare le condizioni, nella totale mancanza di elementare realismo politico. Il massimo generale americano, consigliere di Biden, Marc Milley parla di una situazione di stallo in cui nessuna delle due parti può vincere militarmente e la guerra può essere conclusa solo al tavolo dei negoziati. Ma evidentemente a nessuno interessa la pace (ovvero i morti da ambo le parti, civili o militari che siano non sono ancora abbastanza) ne la conclusione di questo conflitto. Dalla legittima difesa siamo passati alla politica della vittoria sul campo alla quale la politica italiana, maggioranza e opposizione, si è sottomessa totalmente; neanche l’uso delle armi nucleari, sempre più probabile (se sono state costruite non si capisce perchè non dovrebbero mai essere usate) induce al dubbio. Infatti oggi, sarà per la distanza relativa che ci separa da quel contesto, di tutto si parla nella pancia del paese, tranne che siamo ad un passo di una terza guerra mondiale.
- Quando l’Italia entrò in guerra ci fu un momento simbolico che ne decretò l’inizio ufficiale: il discorso di Mussolini il 10 giugno del 1940 dal balcone di Piazza Venezia, nel quale gli italiani presenti e quelli che lo ascoltavano alla radio, in maniera diretta e consapevole appresero l’inizio del conflitto. Mi è capitato di sentire una vecchia intervista di Eco del 2004, a proposito del famoso libro “Apocalittici e integrati” nel quale riflettendo su cosa sia cambiato oggi nel pubblico faceva proprio quell’esempio: le 300.000 persone che in quella piazza ascoltarono quel discorso lo fecero nella consapevolezza di essere li e di ascoltare il loro capo (a questo link tra il minuto 18 e il 24, più o meno l’intervista e il passo citato…). Oggi nel mondo dei media e della rete, dove si è persa la consapevolezza di essere cittadinanza ma solo un pubblico indistinto che si illude di avere una propria individualità, abbiamo assistito per quasi una settimana ad una sorta di Piazza Venezia virtuale televisiva, il festival di San Remo: un grande Blob mediatico di musica pop, inni, comici, costituzione e presidenti nel quale c’è stato anche lo spazio per un appello unilaterale a favore del riarmo e della guerra come unica possibilità di soluzione del conflitto. Quale consapevolezza può scaturire da un bombardamento mediatico di questo genere, che non opera alcuna differenza qualitativa tra l’uno e l’altro messaggio? dove alla fine un bel ritornello o l’appello di un rappresentante di un paese in guerra diventano nell’indifferenza acritica generale la stessa cosa.
- Che fare? forse ci sono momenti della storia in cui il coagulo di consenso per la guerra quando è generalizzato e esteso, e oggi lo è, paragonabile, se non maggiore, di quello che sosteneva il regime fascista, non ci permette di fare altro che affermare “non in mio nome” (slogan con il quale ci mobilitammo in una grande manifestazione a Milano contro le leggi di Salvini sull’immigrazione ai tempi del governo giallo verde, ricordate?). Segnalo, per quello che può servire, alcune iniziative:
- sostenere le iniziative di pace in Italia, Russia, Ucraina con la Campagna “Obiezione alla guerra con un versamento all’IBAN IT35 U 07601 11700 0000 18745455, intestato al Movimento Nonviolento, causale “Obiezione alla guerra”
- sottoscrivere la dichiarazione preventiva di obiezione alla guerra a questo link
- partecipare alle conferenze di tre attiviste pacifiste che rappresentano i movimenti nonviolenti e degli obiettori di coscienza dei rispettivi paesi, che saranno in Italia per un tour nella settimana anniversario dell’inizio guerra. Per il programma a questo link
- una petizione che ci propone Mario Agostinelli dell’associazione “Laudato si” a questo link. Per la traduzione in italiano potete scaricarla a fianco: Appello tedesco
- infine un blog dedicato alla grande poesia russa, che trovate anche nella pagina “frequentazioni” di questo blog.
Bisogna vedere se le consolidate e antiche potenze hanno abbastanza vitalità da giungere all’orgasmo atomico. Se non ce la fanno, se prevale all’ultimo momento un accordo, questo potrebbe significare che la guerra è ormai cosa del passato. E questa potrebbe essere l’ultima minaccia che il mondo delle nazioni infligge alle popolazioni. Bel sogno, vero? Ma è la mia idea evoluzionistica della storia, il prevalere di un interesse comunitario al progresso e alla pace, e da qui guardare avanti in modo che valga la pena vivere. Cadrebbe il mito dell’inevitabilità della guerra… la quale avrebbe rappresentazione nelle olimpiadi sportive.
Bastardi!
Grazie per le info.
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Grazie Lucio, Vorrei anch’io che le cose stessero esattamente così, Speriamo…
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