Letture

di luca chiarei

Agli dei della mattinata – di Franco Fortini

Trieste – molo Audace – foto mia
Il vento scuote allori e pini.
Ai vetri, giù acqua.
Tra fumi e luci la costa la vedi a tratti,
poi nulla.
La mattinata si affina nella stanza tranquilla.
Un filo di musica rock, le matite, le carte.
Sono felice della pioggia.
O dèi inesistenti,
proteggete l’idillio, vi prego.
E che altro potete,
o dèi dell’autunno indulgenti dormenti,
meste di frasche le tempie?
Come maestosi quei vostri luminosi cumuli!
Quante ansiose formiche nell’ombra! 

In questi giorni leggendo i saggi di Pier Vincenzo Mengaldo su Franco Fortini, "I chiusi inchiostri", mi sono imbattuto su un giudizio più che positivo per una poesia di Fortini “agli dei della mattinata", che nella mia ignoranza non conoscevo, definita come “...uno dei tuoi testi più alti, una di quelle liriche in cui è la cultura stessa a farsi, per alchimia, poesia.” Allora l'ho cercata in rete per leggerne immediatamente il testo e il motore di ricerca come primo risultato mi ha proposto questa serratissima discussione che si è sviluppata su Poliscritture e che è possibile leggere qui, oltre ad altre riflessioni più pacate, qui e ancora qui.  
I toni usati in molti interventi, soprattutto di chi voleva - legittimamente -, discuterne il valore con un giudizio diametralmente opposto, mi hanno stupito. La questione in gioco si è trasformata da una valutazione critica su un testo ad una scelta di campo, uno scontro ideologico fra schieramenti non solo avversi ma nemici. Probabilmente questo è un aspetto che Fortini, e chi lo stima, si porta dietro proprio in ragione del suo collocarsi precisamente, da intellettuale e poeta allo stesso tempo, in una parte politica precisa. E che questo generi una sorta di pre-lettura dell'opera poetica. 

In molti passaggi questa discussione è però diventata un dialogo tra sordi e, lasciatemelo dire, permalosi ma in tutti i casi, per chi avrà la pazienza di leggerne tutti i passaggi, una discussione comunque interessante.  Provo a dire la mia, senza alcuna velleità di sintesi, sulle due critiche che maggiormente mi hanno colpito: questa non è poesia, questo testo è prosa; l'opera di Fortini (e Pasolini) godono di buona critica non per il loro valore intrinseco ma per la loro collocazione politica all'interno di un sistema partitocratico che poi gli ha fornito loro immeritata autorevolezza.
Sul primo punto credo che la discussione sia destinata a non concludersi mai, direi anche per fortuna, altrimenti dovremmo certificare la fine di una forma d’arte come la poesia, la sua incapacità di rinnovarsi. Invece credo che continuare a farsi la domanda se davanti ad un testo siamo in presenza di poesia o prosa dimostri la vitalità di una prassi artistica. La differenza sta nel tipo di risposta che forniamo alla questione. Sentenziare che quel testo non è poesia ma è prosa, sottintendendo un giudizio negativo, un disvalore della seconda rispetto alla prima, ecco questo non lo condivido. condivido l'opinione di Aguzzi quando scrive: "A mio parere non esistono confini fra poesia e prosa, non esistono categorie capaci di discriminare con sicurezza ciò che è poesia e ciò che è invece prosa." La poesia non è un valore aggiunto ad un testo, o addirittura ad una condizione esistenziale, secondo una interpretazione molto in voga nei social. Tutto dipende dalla forma e contenuto di quel testo: se anche “Agli dei della mattinata” non fosse poesia questo ne farebbe diminuire il valore?

Per quanto mi riguarda io la considero una poesia. E’ vero che nei primi versi il punto finale del verso coincide con il contenuto del testo ma si tratta di quattro istantanee brevi, che delineano in sintesi una condizione esistenziale, un panorama al quale si affaccia il poeta. Lo stile è preciso, nitido, non retorico e questo me lo fa apprezzare. La parte più lirica è nei versi successivi, dove c’è una sorta di invocazione ironica agli dei, inesistenti, ai quali sembra che l’autore chieda la sospensione di quel momento, di quell’ “idillio”. Condivido l'osservazione di Simonitto che: "Essi sì ‘esistono’, ma come prodotto di una nostra proiezione talmente densa da sembrare reale; così come la natura non “è” matrigna, essa semplicemente è, a prescindere dalle nostre attribuzioni. Il conflitto pertanto sta dentro di noi, tra il nostro desiderio e la realtà."
La metafora finale delle formiche, richiama ad una condizione delle masse presenti nella "storia" senza una soggettività politica propria ma determinata dalla loro natura, concetto espresso non con un saggio sociologico ma con un verso

Sul punto della critica favorevole immeritata di Fortini e Pasolini capisco che, rimanendo a questa poesia, “Agli dei…” non sia il capolavoro della poesia moderna e contemporanea e possa non essere apprezzata. Fortini come qualsiasi altro poeta può semplicemente non piacere per questione di “gusto”. 
Da qui a promuovere una "crociata" per la liquidazione dell'opera nel suo complesso, con l’argomentazione che la sua fortuna sia stata determinata dalla collocazione ideologica di Fortini in quel determinato contesto, mi pare davvero eccessivo. Condivido nella discussione sul sistema editoriale l'analisi di Aguzzi, in quanto rappresenta una descrizione della realtà e non un giudizio di valore. Può non piacere ma se ne deve prendere atto in maniera razionale. E' come se per il fatto di definirmi un nonviolento, un pacifista, per semplificare con una parola concetti ben più ampi, posso ignorare che in questo momento c'è una guerra in corso al centro dell'europa. 

D’altra parte è inevitabile che l’autore, una volta riconosciuto dalla critica, possa poi godere di un credito positivo non sempre giustificato e che  anche la sua collocazione in un determinato contesto storico possa trarne vantaggio. Ma questo vale per tutti: non si può prescindere dalla propria collocazione storica, nessuna attività umana si sviluppa nel "vuoto", tanto meno quella letteraria.