Poesie

campanile di giotto.JPG

particolare campanile di Giotto

Sono passati altri tre anni ed il risultato questa silloge che lega in un filo comune la ricerca poetica di questi anni.

Ho preso nota-silloge

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Aggiorno dopo quasi tre anni la pagina delle poesie con quelle scritte dalla nascita di questo Blog ad oggi e che ho pubblicato aperiodicamente. Come le altre non hanno titoli ma spero un filo conduttore che le caratterizza e che rappresenta la mia ricerca di questi anni.

LC 2/luglio/2017

…seguo piuttosto il filo delle parole le tue
il ricalco dell’ago che ricuce
tra la pelle e mente gli scismi
sotterranei che scava l’acqua

…seguo le impronte del calore
sotto le lenzuola scanso
gli spigoli e le ombre
delle cornacchie che
ci chiedono come va

intanto quello che sento lo lascio
scorrere verso te

…poi riprendo a contare
dividere le volte quando mi sono perso
scorrendo il filo delle coincidenze

sono le strade che conosco bene
che mi chiedono una emozione in saldo
la liturgia dei like

non posso voltarmi avanti
l’aria è un lavoro precario

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E’ solo un fiume che passa stasera
e la sua ansia d’essere mare

è solo una voglia d’essere vento
e la pioggia un ombra che batte lenta

storia che si fa ansa argine e passo
passaggio smisurato trapassato
pulsante esondazione che dal fianco
diventa ascesso eversione
che si lascia andare
dalla cima degli alberi
al limitare del male

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Il consumo della veste sta sotto
la barba appesa l’attrito tra le ossa
e l’aria e pavè lucidato a cera d’api

ad ogni sguardo cade un lembo
ogni giorno striscia dopo
striscia nuda fino a pelle
è la lebbra di essere poveri
senza aureole – vapori odori e nausee

per cantarne poi nella fine
al chiaro della sera
a valle in fondo a sinistra – ancora a sinistra
dove sfigurano le orme sui prati
degli amici senza volto
e non avanza luna da guardare

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In grumi di mani salgono
su questo paese a gambe aperte lungo
nostre scorie da riciclare
lungo fili di penisola e lidi

bevono il sale che ristagna
aprono cavità dorsali
monti traversati in gallerie

sfilano
ombre su massicciate in cerca
di cavità di pietre per dormire

ancora umani vengono
a prenderci in testa ai binari morti
verminali a rifornirci ancora
a riscuotere caparre

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La nebbia sta sopra la città
e vista dal gelo di prealpi è infuso
sotto al sole è tutto quello che
resta delle voci

poi tagli tra le mani quasi risa
in questo paese che deriva
mentre l’inverno si è fermato ad aspettare
il tempo delle nubi che non passa
quando sulla pelle l’acqua di lago

ora a galla da una sponda
l’altra si sfila

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la storia non schiva non lascia
la presa la caviglia
non rispetta l’orario
quello giusto per passare

ritmo di cuore pompa
che aspira svuota ossa
che pensa di bomba in bomba
di testa in testa
da decapitare lo scempio giugulare
dalle società per azioni
ai cambi del dollaro
scolo di internazionali relazioni

solo un minuto ho visto da
bocca a stomaco in una notte
di guerra indivisibile
occidentale

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Levatrice di se stessa
stelo inconsapevole madre e cenere
radice e cielo spina neo
che si insinua restare sveglio senza
scosse continuare metamorfosi
vivere senza un battito che
ti perdoni

Non la luce di un film è una carezza
ne acqua ti lascia andare mentre
ogni sospiro che fai è un figlio
che non c’è o quello che
non ti riconosce più

e non impari da madre in padre
che quello che scorre il sangue
non è più quello che pensi
è diventato altro

a natale non so quello che faremo

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si nasce a ritroso
quando tutto è già fatto
pronto prima di finire – aspettare
il presente che porti via
le cose i vestiti con l’orma
frusta dei fianchi

quasi un gioco che si gioca
a gettar sillabi e versi
inserire gettoni
senza mai una retta di fretta

si nasce ancora già sordi per
non sentire il silenzio
dell’erba sotto asfalto

per un po’ di luce senz’ombra
quella senza sole si passa
s’impara la fatica l’odore
solubile dei cuori come tracce

lasciare dolori visti da lontano

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Non c’è carne che tenga questa crepa
della morte generale industriale
all’infinito aperta e poi ritorno
ultimo conato di storia

come tremore annidato silenzio
nel fondo muscolare di ogni
ventricolo forse un cuore
forse un verso impossibile
un lento letargo che spiove

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Non so che faremo a natale quest’anno
in quale bar fiutare le orme scansare
transenne accarezzare confini
come lame bere
caffè amaro cercare
stazioni per discutere mercatare
idee lungo binari aspettare che tornino
i denti smarriti

poi leggersi in foto
bambino a dicembre il tempo
che si tende ad arco da schiena
a costola ora padre figlio in fila impilato

ancora c’è gente
ancora c’è una fetta da tagliare

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camminare lungo il perimetro
dei film su muribianchi

lungo i segni delle case nuove vuote
sotto spazi mentali senza forma
quando nel vuoto tra un pensiero e l’altro
la verità scola via

negli angoli mucchi di sassi neri
in cui sbirciare saldi
mentre gente cammina morta
sotto il fondo del mare e sbarca
dai nostri lucernari

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quali feste aspettiamo oggi per
l’estrema torsione cervicale e finger food
per voltare gli occhi dall’altra parte
un altra volta

verso video dal lato oscuro
quello che
a gocce taglia radici e poi
avere acqua nelle scarpe avere qualcosa da dire
da fare aprire il frigo con la schiena
scaldarsi al tepore delle pietre

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Siamo lune che si guardano quelle che
nel cielo fanno il rumore della
gente che cammina quelle che
si guardano guardare

quelle che cercano
segni di gesti riflessi e parallassi quelle che
sono rocce vuote senza eco
una orbita che ci abita cieca che
non ci lascia soli
che non fa pensare fino
al prossimo urlo muto
come polvere della terra

quella sull’acqua che resta da bere
quella che geme tra denti essiccati
nell’ultimo giorno di guerra

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Si viaggia a volte per tornare
al punto alla partenza
all’ombra sull’acqua
che fa lo svasso

si viaggia per scavare il primo solco
toccare le radici
cercare il primo filo ancora
nel torace stralci
vuoti senza pace

sono viaggi senza andata
passi a ritroso mentre risali
le foglie dei sentieri colati in collina
quando su un muro – di un orto che non ti aspetti
ancora si racconta – i care
ad una altra figlia che si schiude
ad un pigreco che ferma il respiro

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Sono finiti i passi da comprare
dai mercati
ne mondi avanzano ne spazi

solo strisce di ghiaia epistassi
dei punti cardinali degli asfalti
in terra intagliati come acciaio

solo passi lenti a risalire
la ghiandola calda creta
che torna a galla
che ti lascia solo
sull’argine di labbra a rimandare
il tempo
prima che tutto sia fermato

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…un insolito equilibrio per tremare
alghe nell’afa liquida
delle idee disseminate
lungo corsie d’emergenza

frenare sulle uscite
stridere fino in fondo
dopo le luci degli stop unghie
ancorate agli schermi satelliti
disamorati affondati in ogni parola
bava di ghisa nelle aorte

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Si vede la gente perdersi
in cenere si scioglie

risalire in calca se stessa mentre
si squama sanguina si compra
si defila

lasciando calchi nei capillari
ignorando le parole di questo
tempo dalle mani aperte
dai lavori che ci fanno scoria
scarti di agenzia
certificati stralci
graffe precarie in fila

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E’ un come e un quando chiedi la strada
quella che avevi nella tasca e ora
si disfa e chiedimi se
andare

fino in fondo svoltare alla seconda
frase guardare podcast restare
su una panchina per
farsi dare atto

respirare anidridi atomo per atomo
e mi spiace molto ma non so più
cosa posso fare
neanche un semaforo per capire
di essersi fermati e ricordare

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Dal vetro dorme un giardino
con occhi afosi mi guarda
e dal silenzio bianco cadono
quasi parole dal piano di sopra
– volumealminimo – da quello
sopra ancora da quello
ancora da fare

incomprensibili e verdi come
aria dove niente succede
un aria dove l’universo
è un retrobottega dietro
muri di cinta dove il fumo
fa perimetro rallenta l’attesa
della storia di tutti dove

avanza tra l’erba
la compagnia del caso

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…così è camminare in qualunque
Milano che non conosco tra living
luxury da parte sui filociglia
dal rimmel stremato
e schienanera dall’altra
schiacciata
stracci al filo di marmitta
e marciapiede di mani distese
dimenticate

monossidi in trachea e cartone
in un grande smisurato iato
dove mettere i passi

di Gaetano Blaiotta

disegno di Gaetano Blaiotta

Le poesie che potete leggere in questa pagina rappresentano una selezione tra quelle che ho pubblicato nel 2010 nella mia raccolta “Derive”. A distanza di quasi 4 anni da allora ho selezionato quelle con le quali oggi mi sento “ancora” in sintonia. Negli anni si cambia, almeno si dovrebbe farlo, e cambiano le sensibilità, i contenuti, gli obiettivi. La scrittura potrebbe restarne fuori?
Tutte le poesie che invece leggete nel blog come post a se stanti sono tutte successive a quella data.

LC 4 ottobre 2014

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stralci di grigio come somme
come strisce di scelte
al bordo di un imbarco

sottrai la differenza delle impronte
in ogni notte aspettando
restando
nell’indifferenza

nella circonferenza mancata
dei tornanti

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cosa aspettare fuori dai nostri occhi
alle orbite affacciati in pieno viso?

forse una pioggia immensa
forse un vapore che fa luce
una crepa nel cielo
forse foglie da lasciare andare
un limo di parole in cui restare

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Di bilico in bilico si cammina
sulla vetta dei minuti
nella coda dei secoli
lisi dal silenzio bianco che li conta

allora mistero non è presenza
ma indovinare l’assenza dello scavo
quel vuoto che assorbe
quella luce che tra noi abita vaga
che fa la morte

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Come tenerla tutta
la ferita viva
aperta dalla vita

lo scorrere dei visi
la noia corrotta
ed i suoi sorrisi

si cerca lieve il tempo
e chiaro
goccia di luna che
a notte allaga ogni cruna

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Che cos’è quest’immenso freddo chiaro
del mattino di svelti passi pieno
strisce d’auto brulicanti
ghiaccio che si stralcia nella via

E’ vita che non tengo
ombra rara
spesso niente da sondare con mano
spasmo immoto nelle vene
sorridente

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Quando l’aria si fa ferma e si fa sfera
come bolla si tende e si fa vuoto

sono così quei punti in cui
il tempo solca lascia un eco

come una stilo sospesa
nel bianco che invoca
ed un senso raffermo nell’anima

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Il sangue non basta
lascia traccia
sofferenza – il sangue
non coincide strema
la mia rete divina
la mia differenza

questo mi dici dal confine
del mare che aspetta un’altra luna
e la sua ombra
aspetta la tua ira solare
che affonda nella grana delle cose
delle acque che feconda

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L’amore lo sento ombra
onda che spande
tremore che circonda
che fonde tela di ragno che tatua
la mia pelle.

Allora rammendo e fremito scruto
tu su questo filo d’asfalto
cieco in deriva al tuo canto mi sondo

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Fermo come un canto vibrante
nel fondo ansante di ogni stelo
caldo che tracima in questo prato
ha radici incise nel cielo

filigrana di se ogni zolla
ogni enzima e corolla
il vivente

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Sviene la vita nel buio che si smuove
un alito insonne negli arti
sfibrati a ricalco in un letto
di membra in eclisse

nel fine sole della sera un cuore
nasce e rinasce nel bianco del parto
ondeggiante vagante nell’ intimo
incontro che vive in ellisse

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Dalla vita mi scosto, calo al fondo
del lago e guardo alto
ombre solcanti,
vaganti segni di voci rose.

Così alta è questa vita che ci strema
di sforzo per centrarla nell’essenza…
bianca onda che sovrasta
e mi prende alla mente,
stormo scuro.
si rapprende.

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Quando si spezza il femore del cuore,
io dentro mi scivolo a piombo come
goccia sul muro che cade mi tremo

come stilla di paura che contorce
stilla che lenta spiove come
schiuma di lumaca
sulla pelle

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ogni ora si sconta
tra terza e quarta costola del viso

sotto le unghie immensa
densa di vento
l’anima svapora

E’ questo il sudore che all’alba spira

La morte si porta tra terza e quarta
costola del viso.

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Cos’altro da dire ancora che resti
che segni che tracci che sfregi
che resti tralcio nell’aria
che resti area riarsa nel mare

Cos’altro da dire ancora in parole
un coagulo di niente
è questo alito di vita

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Ci sono silenzi
che non sai sentire
sillabe senza suono
per dire del tuo tornare

ci sono silenzi
che sanno di ferro
prati che scalano pareti

c’è un silenzio tra le parole
un mare sotto pelle

un vento fermo tra la carne e l’osso

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Tu non sai quanto resta
ancora da scavare quanta pancia
quanto cielo di milano sommerge
la tua ombra d’astronauta in frantumi
mentre la tua luna sale alla ringhiera
della mia bocca

la neve evapora dai boschi radi
e fa di vetro le morene
luci ai lati di ogni ferita
distesa con il freddo dei pensieri
quelli che scarti come aerei di carta

quelli che poi ti vengono a cercare

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Sono giorni sospesi
passi senza strade
sono ore tutte insieme
sono i nostri giorni
a picco sulla pece

così il respiro diventa di lago
poi suono che diventa stagno vapore
la vita logo del tuo
sereno dolore

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In retta e vite ora ti scavo
dentro quella terra che ci traversa
nella nera zolla che mi rivolta
cercando di tacco un punto da leva un fondo

un pianto che non mi lasci
un cuore d’alga che mi riporti a galla

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io ti sento ferita aperta
taglio che non fa male
risalita

tu racconti di cicatrici
nella neve di anestesie
ad invertire gravità

carne aperta d’ambo i lati
consumiamo sui fuochi
ogni ora cercando
perimetri nel cielo

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ed è così che alla fine accade
in ogni cosa che deve accadere
il presente che ci contiene
un lavoro che ci accompagna

allora sarà facile lasciarsi
come quella stella che affiora
nel cielo quando muore la luce