Un incontro mancato

di luca chiarei

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particolare di Shapes in the Clouds di Peter Randall-Page – Villa Panza Varese                   La foto è mia.

La storia è quella di un incontro che ho mancato con una personalità poetica che da vivo non aveva attirato la mia attenzione. Parlo di Gianmario Lucini editore e poeta scomparso improvvisamente l’anno scorso. Sul sito di Poliscritture potete trovare un ricordo e altre riflessioni ricercando il tag Gianmario Lucini. Purtroppo capita spesso nella vita di accorgersi di non avere fatto in tempo, di non essere stati sufficientemente attenti e sensibili e di non avere più la possibilità per rimediare. Attraverso le poesie e le riflessioni che ci ha lasciato, e il ricordo di chi l’ha conosciuto, voglio comunque cercare una relazione di scambio, crescita, riflessione e discussione sul presente della poesia alla luce della sua particolare proposta. Di seguito l’intervento che ho fatto su Poliscritture a seguito della recensione di Marcella Corsi su alcune selezionate poesie ecologiche di Lucini di cui è possibile scaricare la plaquette.

Non ho fino ad ora partecipato al ricordo di Lucini per il semplice fatto che non ho avuto modo di conoscerlo direttamente. Per quanto ne avessi sentito parlare dai tempi delle mie prime frequentazioni nel laboratorio dei moltinpoesia a Milano e poi collaborando con Poliscritture, non ho mai avuto l’interesse e la volontà di capire meglio e bene di che cosa si trattava.

Nel fiume comunicativo nel quale siamo immersi di scritture di ogni tipo, spesso quelle più importanti e profonde sfuggono. Oggi mi pento di questa svista grossolana, di non avere colto l’importanza della sua opera editoriale e di animatore culturale, del suo fare poetico e la riflessione di Marcella mi fa dire che quello che da anni cerco nella poesia e nella condivisione con chi la scrive sicuramente la trovo anche nella ricerca proposta da Lucini.
Una poesia che si collega e cerca le sue ragioni nel contesto nel quale vive il poeta e gli altri con lui, nella realtà presa in carico nelle sue contraddizioni e nel suo orrore quotidiano. Penso in questo senso ad una opera come “L’impoetico mafioso”, alle ragioni dell’introduzione che certo non sono altra cosa rispetto ai versi qui in discussione.
Una ricerca non solo estetica della bellezza ma riempita di contenuti tra i quali quello ecologico, interpretato nei termini proposti da Marcella, a mio parere è quello più necessario e centrale per il quale possa valere la pena scrivere ancora. Vorrei sottolineare che l’ambiente e il tema natura sviluppato nei versi proposti hanno una valenza diversa da quello che di solito si legge sul tema. Lucini mi pare che cerchi di andare oltre l’approccio oggettivo, per il quale l’ambiente resta solo uno sfondo sul quale proiettare la nostra sensibilità o la morale ambientalista. I suoi versi si orientano, ed in buona parte ci riescono, verso un rapporto con la natura di tipo bio-centrico nel quale ci riconosciamo parte minima di un tutto ben più ampio. L’assumere il punto di vista dei fiori d’altura, o quello animale mi pare che si ricolleghi, non so se consapevolmente e se lui conoscesse questi autori, con le riflessioni e le scritture dei poeti che hanno assunto l’ecologia profonda come riferimento. Mi riferisco ad autori come Gary Snyder, Arne Naess, Wendell Barry ecc che operano e hanno operato principalmente nel contesto americano e dei paesi nordici. In questi versi di Gary Snyder, tratti dall’opera più ampia “Verso il climax” ad esempio scorgo una affinità e una convergenza con quelli proposti:

la scienza cammina nel bello:

una rete è molti nodi
la pelle è la guardia di confine, una pelliccia
è caldo preso in prestito;
un arco è la curva di un ramo nel vento
un immenso edificio nel centro
è il letto di un torrente messo in piedi

le vie del detrito. “maniere complesse e ritardate
di trasmettere il cibo attraverso reticoli”

maturità, fermarsi a ripensare. attingere alla
ricchezza accumulata della mente. il sogno, la memoria
l’immagine semidigerita
della propria esistenza. “le vie del detrito”-
sono quelle che nutrono
le molte minuscole cose che nutrono il gufo
mandare il cuore in viaggio arditamente
sul fuoco dei morti e sepolti.

Filtrato dalle deformazioni dell’animalismo patinato quotidiano, che delle questioni ambientali di gestione delle risorse non si occupa, il sentirsi parte dell’ambiente assumendo il punto di vista di tutte le sensibilità umane e non umane che lo abitano è non solo un atteggiamento individuale (spirituale? religioso? pre-politico?) ma una posizione fondata scientificamente: il riconoscimento della base biologica del nostro esistere e la necessità di un equilibrio generale nel quale collocarla. La radice profonda dell’impatto insostenibile che lo sviluppo industriale esercita sulle risorse non risiede principalmente nella cesura operata, principalmente a livello culturale, tra l’uomo e il proprio ambiente naturale? Io credo che la politica debba partire anche da questo dato e non liquidarlo perché non integrabile con le categorie abituali dell’agire politico.