Fosca
di luca chiarei

Ladak-Zanskar – foto di Mariagrazia Crugnola che ringrazio
“Tu non sai cosa voglia dire per una donna non essere bella. Non vivendo che per essere amate e non potendo essere che alla condizione di essere avvenenti, l’esistenza di una donna brutta diventa la più terribile, la più angosciosa di tutte le torture.”
Ad una prima lettura oggi questa frase in fondo può apparire, almeno in certi contesti, non particolarmente originale o innovativa.
E’ l’ovvia denuncia di come i canoni estetici dominanti condizionino le relazioni tra i generi. Il motivo allora per cui la lettura di questa frase mi ha colpito particolarmente è il contesto. Per primo quello temporale: è stata scritta nel 1863, all’alba dell’unità d’Italia, dove le questioni di genere ed i ruoli non erano in alcun modo all’ordine del giorno di alcun tipo di dibattito politico-culturale e la comunicazione di massa, dove la massa era in maggioranza analfabeta, era ai suoi primi passi. I social ancora da immaginare…
Secondariamente il contesto culturale: a pronunciarla è un personaggio letterario, di fantasia, Fosca per la precisione, che è la protagonista dell’omonimo libro scritto in quell’anno da Ugo Iginio Tarchetti, esponente di spicco del movimento letterario della scapigliatura milanese. Dunque alla fin fine chi fa questa affermazione non è una donna reale ma un personaggio di fantasia e chi l’ha pensata e tradotta in scrittura è un uomo, uno scrittore, che la fa pronunciare alla sua protagonista. Tarchetti è pienamente un uomo dell’800 che, al netto delle sue contraddizioni personali ed un rapporto per lo meno complicato con l’altro genere, costruisce una storia nella quale la protagonista centrale non è un uomo innamorato ma una donna, per di più una donna immaginata brutta e “malata” in quanto scossa permanentemente dalla nevrosi della sua passione insoddisfatta.
In questa contestualizzazione credo che si possa cogliere la modernità dell’affermazione sulla quale vale la pena spendere qualche riflessione in più. Il romanzo “Fosca” è la rappresentazione di una ossessione amorosa nella quale l’eros si identifica e trova la sua espressione materiale non nella donna bella, seduttiva, attraente ma nel personaggio esteticamente ripugnante, almeno secondo quella che è l’estetica convenzionale della bellezza femminile. In questo senso è una affermazione di rottura contro i canoni estetici dell’immaginario maschile imposti dalla cultura dominante, la rivendicazione ad una vita di relazione amorosa e piena, anche sessualmente.
Allora la domanda è se l’assunzione maschile di un punto di vista femminile come quello espresso da Fosca, ammesso che sia effettivamente così almeno come volontà, non possa generare un terreno perlomeno di confronto tra generi diversi e se non vi sia un filo sottile declinabile al maschile che collega il presente incerto di oggi alla sensibilità di allora.
Con questo non affermo che una relazione amorosa possa o debba prescindere dal piacere estetico collegato ad una idea possibile di bellezza reciprocamente intesa. Mi faccio invece una domanda: è possibile per noi uomini relazionarsi con l’altro genere fuoriuscendo dai canoni della bellezza codificata del pensiero maschile? e anche per le donne? E’ possibile per noi uomini trasformare una rivendicazione come quella di Fosca in consapevolezza non estemporanea?
Non ho una risposta ovviamente ma credo che lo spunto di Luisa Muraro quando afferma “… è sensato chiedere agli uomini di diventare consapevoli della loro prevaricante storia patriarcale e di dovere farsela perdonare. E io sono d’accordo. Quello che mi preme evidenziare è che una tale richiesta non è propriamente la base di un’alleanza, a meno che non si tratti dell’alleanza dopo l’otto settembre; una cosa che tiene insieme alleanza e capovolgimento.” ci possa aiutare ad inquadrare correttamente il problema.
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