Anticipazioni da Poliscritture

di luca chiarei

 

E’ ormai prossimo all’uscita il nuovo numero, il 12, di Poliscritture, la rivista/blog alla quale partecipo nella Redazione da un po’ di tempo, dedicato al tema purtroppo sempre attuale dei conflitti e delle guerre di cui già ne avevo parlato qui. Non a caso l’abbiamo intitolato “Senza pace”, condizione che purtroppo accompagna la vita di interi popoli e milioni di persone. Le interviste annunciate a Mao Valpiana e Mario Agostinelli le ho realizzate e per invogliarvi all’acquisto della rivista (quando sarà disponibile non mancherò di aggiornarvi), ve ne anticipo alcuni stralci. Inizio con Agostinelli:

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Norilsk, nord della Russia, la seconda città più grande del Circolo Polare Artico, con 177.000 abitanti. Non ha alcun collegamento via terra con il resto del mondo. Foto di Elena Chernyshova in mostra al Festival foto etica di Lodi 2016. Non perdete quello del 2017…

Modelli energetici e conflitti internazionali: una analisi ecologista oltre i luoghi comuni del mediatico quotidiano”

  • Domanda: In questi anni il tuo impegno si è concentrato sulle questioni ambientali e energetiche che, dalla prima crisi petrolifera del 1973 passando per la rivoluzione iraniana e arrivando fino ad oggi sono diventate il fulcro della conflittualità internazionale. La green economy nel suo significato più ampio, istituzionale e di movimento, è una possibilità reale per una strategia di prevenzione dei conflitti? L’Italia come e dove si colloca in questo percorso?

  • Risposta: Continuo a riflettere su una esperienza, anche sindacale, di politica industriale dove ho colto l’inadeguatezza di affrontare le politiche settoriali senza tener conto del modello energetico da cui dipendono.

Noi siamo in una fase dell’evoluzione storica in cui i mutamenti del modello energetico comporteranno un cambio strutturale dell’economia, della politica, della cura della terra e dell’ambiente (l’ha colto molto bene l’enciclica del Papa nella quale si è ben compreso che la questione ambientale non è una azione morale, etica, ma un fatto costitutivo dell’esistenza. Si rivolge per questo a credenti e non credenti e rompe lo schema del volontarismo rispetto alla cura del futuro). In questo cambiamento così profondo scompariranno completamente alcuni dei centri della concentrazione finanziaria, economica e anche militare che hanno avuto come riferimento il possesso delle energie fossili, concentrate in luoghi precisi e accumulate in quei luoghi da milioni di anni di lavoro del sole. Noi ci siamo dimenticati, utilizzando le energie fossili, del fatto che usavamo una densità energetica sconosciuta in natura. Quella che è distribuita dal sole e tutto ciò che è legato al vivente sta in una finestra energetica molto, molto, ridotta. Invece noi oggi siamo in grado di consumare in un tempo rapidissimo un processo energetico per il quale sono stati necessari, per la sua formazione, milioni di anni. Pensiamo ad esempio alla fissione nucleare. Gli aspetti se si vuole di lungo tempo della distribuzione energetica vengono improvvisamente vulnerati e modificati dalla combustione, la parola chiave, di una densità energetica molto molto elevata. Naturalmente chi possiede questa densità energetica, costituita da petrolio, carbone, gas, è titolare di una potenzialità per sostituire il lavoro e produrre enormi trasformazioni a costi sicuramente inferiori a quelli che sono invece contemplati dalla rinnovabilità della natura. L’energia densa è in grado di creare un tempo artificiale rispetto al tempo naturale e di dare alle facoltà umane una potenza totalmente estranea alla loro natura.

Perché questa lunga premessa? Perché avere a disposizione a prezzi non reali ma definiti dagli scambi, e quindi all’interno del mercato capitalistico, queste risorse è stato per tutta l’evoluzione dell’industria nel secolo della rivoluzione industriale un elemento chiave che non è stato pienamente colto. Questo elemento invece spiegava le ragioni delle espansioni coloniali: non si andava a prendere le colonie, come ci si racconta, per le spezie. Sì andavano a prendere in quei territori perché c’erano grandi giacimenti che potevano essere scambiati con i prodotti finiti. La novità straordinaria è che oggi la tecnologia, quindi non uno sguardo indietro nella storia ma in avanti, e la più grande trasformazione della fisica, quella einsteniana e quella quantistica, consentono di procurare direttamente energia utile e al più alto livello: da quella elettrica alla termica, senza avere bisogno di combustione, trasporto, una centralizzazione e una ulteriore distribuzione. In ogni luogo della terra la somma di vento acqua e sole come mix di energia è praticamente equivalente.

Quindi in ogni luogo della terra si può ricorrere non all’estrazione con il possesso sancito dai confini, ma alla fruizione delle energie naturali. Questo comporta un decentramento delle fonti, una trasformazione delle fonti in beni comuni non commerciali e naturalmente la possibilità di uno scambio cooperativo per riprendere il controllo dell’energia al di là del valore economico dello scambio. Allora non c’è più bisogno di accaparramento e di guerra in questo modello. In Africa il sole arriva dovunque… La svolta è a portata di mano ed è urgente, perché la combustione comporta un cambiamento così profondo nel clima da mettere in discussione la sopravvivenza.

  • Domanda: Dunque mi stai dicendo che la green economy è una delle strategie per la pace?

  • Risposta: Sicuramente l’economia delle fonti rinnovabili, con tutto quello che comporta anche nel cambiamento del consumo e della distribuzione (tutti i concerti del chilometro zero e tutti gli aspetti che si collegano anche alle questioni organizzative), porta a non dovere più esercitare rapporti di potere per la conquista della produzione di energia. E’ una energia di pace. Il culmine del processo precedente è stata l’energia nucleare, cioè il massimo della concentrazione che consisteva nella possibilità di costruire dei reattori e come scarto alimentava addirittura le stesse bombe con cui si manteneva la supremazia. Questo collegamento energia-guerra con le rinnovabili e con l’economia verde viene meno. Questo se vuoi è il fatto più straordinario ma anche quello più conflittuale. Oggi le multinazionali, quelle che guidano i processi, reagiscono per la conservazione del modello precedente. Il nostro governo sta naturalmente dalla parte della concentrazione, mentre il referendum No Triv chiarisce che non c’è bisogno di andare a rovinare il mare se non per alimentare un sistema di concentrazione e di distribuzione del gas. Non è un caso che il governo punti sul fatto che noi dovremmo diventare una sorta di sito di interscambio del gas e si rifanno i gassificatori e le trivelle, per soddisfare il bisogno di una economia concentrata. L’ultima cosa che volevo dire in questo quadro riguarda il fatto che la transizione richiederà ovviamente ancora tempo. Non puoi trasformare in poco tempo un sistema così potente, dove ci sono tra l’altro il 47% di tutti i derivati nel settore energetico. Per poterlo fare il conflitto deve essere un conflitto che coinvolge le popolazioni del mondo che non hanno più rappresentanza. In questa prospettiva dello scontro ci sono stati due eventi molto rilevanti: da una parte l’enciclica del Papa, che piomba su cop21; dall’altra un accordo come quello di cop21 avanzato sul piano delle dichiarazioni ma non dal punto di vista dei vincoli: non è un accordo giuridicamente rilevante. E’ Il riconoscimento della necessità di decarbonizzare, di cambiare il sistema, perché l’hanno fatto in 196 paesi che non potevano sottrarsi, ma immediatamente dopo si riunisce il club di Davos dove vanno tutti e tutte le tempistiche vengono spostate. Poichè siamo in crisi decidono che dobbiamo andare per la riduzione della combustione al di là dei tempi e obiettivi fissati per il 2023.

Continua sul n° 12 di Poliscritture