Esodi scalzi…
di luca chiarei
Sono già passate alcune settimane e nel flusso continuo delle notizie e dei fatti che si susseguono è probabilmente un evento ormai archiviato e forse dimenticato. Mi riferisco alle marce degli uomini scalzi che si sono tenute nel II° fine settimana di settembre in varie città italiane per sensibilizzare riguardo alla questione dei migranti e dell’accoglienza. L’iniziativa era stata promossa dal mondo della cultura, con personalità quali Segre, Bellocchio, Servillo, Saviano, Paolini e altri.
Premesso che ovviamente nessuno, né tra chi l’ha promossa né tra chi vi ha partecipato, ha pensato che una marcia potesse risolvere il problema, o anche solo mitigarlo (che infatti continua ad essere negli stessi tragici termini), vi ho partecipato anch’io con alcune aspettative che non hanno trovato riscontro (che l’errore sia quello di averle…?).
Per ragioni personali quel giorno è successo che abbia partecipato sia alla marcia di Varese, 300 persone, sia a quella di Milano, in questo caso 10.000. Se tanti o pochi non so, lo lascio al giudizio di chi legge e non è questo il punto.
Le aspettative erano, soprattutto nell’iniziativa varesina, di incontrare non solo i “militanti” (che in effetti c’erano tutti), ma anche persone e amici del mondo della cultura che esprimono la propria sensibilità con l’arte, la scrittura, la poesia, la pittura… Nella dimensione più ridotta di Varese che conosco meglio, questo elemento potevo facilmente verificarlo e quindi, a parte la presenza di un caro amico, di quella parte di cittadinanza attiva non ho incontrato nessuno. Probabilmente anche a Milano è accaduta la stessa cosa ma in questo caso la mia conoscenza non è in grado di verificarla.
Con questo non voglio esprimere un giudizio di valore per cui i presenti erano “migliori” degli assenti: in sé questa marcia proponeva solo un piccolo segno, più per la pace della nostra coscienza probabilmente, che per la soluzione della questione. D’altra parte avendo sempre detto, varie volte in questo blog, che non ritengo la poesia essere un elemento che unifichi le persone, anche la mia aspettativa non aveva molto senso e la delusione derivata ne è la conclusione logica.
Spostando però la riflessione ad una dimensione meno personale si deve prendere atto di una tendenza generale per la quale le “comunità” che fanno riferimento alla dimensione politica dell’impegno e quelle che si riferiscono alle manifestazioni della cultura, restano ben distinte e separate. Tentare di incrociare ambiti contigui anche se diversi comincio a ritenere sia una impresa impossibile. L’ho sperimentato anche in altre situazioni, ad esempio con l’ambientalismo, ed il risultato finale sostanzialmente era analogo.
Eppure se si parla di emarginazione, integrazione, accoglienza, terzo mondo in termini generali, magari con presentazioni di libri, reading, musica ecc. allora le presenze sono ben più numerose. Quando invece i temi si traducono nella denuncia qui ed ora di una situazione precisa come questa, nella quale decine di migliaia di persone, fuggendo per paura della propria incolumità, si infrangono e muoiono, contro una europa diventata la roccaforte di 500.000.000 di persone “assediate” da 120.000 migranti, non si verifica lo stesso riscontro.
Eppure la questione in fondo è quasi pre-politica: scrive Jeff Sparrow, giornalista di The Guardian, nel numero 1121/2015 di “Internazionale” in un articolo che affronta il versante australiano delle migrazioni, dove si verifica una situazione analoga a quello che sta accadendo in europa: “Quello che colpisce nel dibattito sui profughi è che (…) non si parla delle questioni fondamentali.(…) Non si può impedire a uomini e donne che temono per la loro vita di trasferirsi in un posto sicuro. Abbiamo bisogno di un dibattito nuovo sulla politica d’accoglienza. Tanto per cominciare, dovremmo accettare il presupposto che cercare rifugio è un diritto. Nessun politico dirà mai apertamente che chi è perseguitato non ha il diritto di fuggire dai suoi persecutori. Equivarrebbe a giustificare l’oppressione.” Difficile dargli torto. E se i processi dell’accoglienza vanno governati, lo potranno essere maggiormente se la cultura e chi la crea non si sottrarrà a tutto ciò ma si farà parte attiva assumendosi, come tutti, le proprie responsabilità e come sempre, discutiamone.