Ancora su “La poesia è intervento”
di luca chiarei
Domenica 15 Marzo 2015 ore 16.30
Chiesetta del parco Trotter di Milano
Appunti sull’incontro…
Mi spiace non avere conosciuto personalmente Gianmario Lucini e l’opera della sua piccola casa editrice, la CFR, prima di ora. L’incontro di ieri a Milano, molto intenso e partecipato, mi ha infatti dato la sensazione di avere trovato nella sua testimonianza, e in quelle di chi lo ha conosciuto, pur con sfumature diverse, ciò che nel brulicante mondo dei molti in poesia cerco da anni.
Una poesia incarnata nelle contraddizioni del presente, che si fa carico della vicenda umana storica, che si fa partigiana e non rinuncia a difendere l’uomo, come recita il sotto titolo di una raccolta di Lucini, “Il disgusto”. La casa editrice, fra premi dedicati a Franco Fortini e a Lorenzo Milani, ha promosso varie antologie poetiche sui temi della mafia e della legalità, del femminicidio e la violenza sulle donne, della guerra. Un modo di unire poeti a partire dalle contraddizioni che ci attraversano, fare poesia a partire da quello che poetico non è, che non è attraversato dalla retorica della “bellezza” ma dal conflitto sociale.
Dalla introduzione di una di queste antologie intitolata, non casualmente, “L’impoetico mafioso – 105 poeti per la legalità e la responsabilità sociale, in ricordo di Angelo Vassallo” edita nel 2010 (Angelo Vassallo era sindaco di Pollica in provincia di salerno, ucciso dai mafiosi perchè si opponeva ad una politica di sfruttamento del territorio, alla cosiddetta mafia del mattone), propongo uno stralcio della introduzione di Lucini:
“L’idea dalla quale prende corpo questa antologia nasce da riflessioni intorno al ruolo della poesia nella società contemporanea. La poesia infatti, fin dalle sue origini, ha sempre avuto un ruolo importante, soprattutto nelle civiltà più antiche, sia occidentali che orientali.(…) I tempi cambiarono ed oggi si è giunti, dopo 25 secoli, ad una poesia svuotata di ruolo, scissa ed esiliata in un limbo, spesso in colloquio solo con se stessa all’interno di una bolla di sapere che definiamo “letteratura”.(…) Nessuno più immaginerebbe di veder partecipare le masse ad una recita di poesia, come accadeva nel teatro greco, ma bisogna pur soggiungere che le nostre moderne recite di poesia sono a volte qualcosa di davvero deprimente…I cosiddetti reading di poesia invece nella maggior parte dei casi chiedono ad un piccolo uditorio di ascoltatori la disponibilità a farsi torturare con parole che, troppo spesso, non hanno la capacità di suscitare quel sentimento di empatia e l’alone affettivo che invece suscitava (e suscita ancor oggi) la poesia epica. Essa parlava della polis, del suo popolo e della sua vita, dei suoi problemi, dei suoi dubbi, delle sue paure ataviche. Era una poesia capace di stare dentro la società storica e proporsi con un ruolo molto chiaro, quello di interprete della umanità più profonda, di metterla in scena anche nelle sue contraddizioni e nei suoi dolorosi paradossi.(…) La poesia contemporanea invece, troppo spesso, è la noiosa e monocorde proposta di un “Io poetico” solipsistico, che non si cura dell’altro, ma solo di se stesso…”