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di luca chiarei

Memoriale della Shoà – Binario 21 Milano

Ora che l’attenzione è cessata, e nel mondo dei social questo mi pare avvenga veramente a stretto giro di posta, vorrei riflettere su una notizia che un paio di mesi fa invece fece molto discutere. Mi riferisco all’incontro avvenuto a Giugno tra la senatrice Liliana Segre e l’”influencer” Chiara Ferragni, nel quale la senatrice le passava il testimone della memoria della shoah e dei luoghi per ricordarla, in particolare il memoriale a Milano del Binario 21.

Il primo effetto che ha provocato in me leggere di questo incontro è stato quello di rendermi conto che io, al memoriale del luogo da cui partirono le deportazioni naziste verso i campi di concentramento, non c’ero mai stato. Dunque Liliana Segre aveva ragione.

Mi è sembrato doveroso colmare questa omissione, chiedendomi anche il motivo per cui ho aspettato fino ad oggi per farlo. Probabilmente per propria storia personale: stare da decenni da una parte politica e culturale ben precisa ha reso scontata da una parte la solidarietà e la condivisione con il messaggio dei sopravvissuti dell’olocausto, dall’altra reso “superfluo” un atto di presenza concreta, in carne ed ossa, nei luoghi dove un pezzo di storia è passato. In questo senso effettuare la visita è stato anche un atto di umiltà.

Sono stato un po’ di anni fa al memoriale della shoah di Berlino e in quella occasione la lunga serie di colonne/parallelepipedi, 2711 per l’esattezza, che invadono la Cora-Berliner-Straße mi aveva dato la sensazione della impossibilità delle parole di dare conto, raccontare, spiegare quanto accaduto e chiedere un improbabile perdono. Tutt’altra sensazione quella provata in questa occasione: è evidente che il punto di vista rappresentato questa volta è quello di chi quella storia l’ha subita. Ed un conto è la consapevolezza storica, politica e intellettuale di quello che è accaduto, altra cosa è confrontarsi con gli oggetti concreti attraversati dalla storia, dal marciapiede ai vagoni, con l’emotività che il vissuto di quei luoghi propaga.

Premetto a questo punto che la vita di Liliana Segre fa si che qualunque scelta possa compiere per fare conoscere un luogo come il Binario 21, che sia attraverso figure come Chiara Ferragni o altre, debba essere solamente rispettata; ammetto che forse un “normale” appello alla presenza in quel luogo o un convegno con personaggi più “coerenti” con la storia dell’olocausto e con l’impegno politico affinché non si ripeta mai più nei confronti di nessuno, non avrebbe fatto scattare in me la molla che mi ha spinto ad andare. Dunque la “provocazione”, se così la vogliamo chiamare, ha avuto effetto.

Non credo dunque di mancare di rispetto a nessuno se mi permetto una qualche riflessione critica sull’evento.

Il punto della questione è per me semplice: se la Ferragni ha questo rilevante potere di influire sulle opinioni di chi la segue questo significa che rappresenta un modello generale nel quale tanti si identificano; e se è così domandiamoci anche quale sia questo modello. E’ un modello di impegno sociale e culturale, rappresentativo di valori di chi oggi è giovane e sarà futura classe dirigente?

E’ chiaro che la Ferragni, salvo assumere criteri di giudizio morale, non fa niente di male (ma non è a non fare niente di male che si risolvono i problemi): è una abile imprenditrice che fa egregiamente i propri interessi, promuove uno stile di vita effimero, ambito da moltissimi, fatto di moda, brand, ricchezza; il tutto naturalmente nel quadro rassicurante della famiglia tradizionale, che non ricordo dai tempi della democrazia cristiana idealizzare in termini così acritici

Non ho trovato nei suoi post alcun accenno ai principali problemi che rendono il mondo una realtà sempre più violenta e impraticabile: dalle disuguaglianze socio-economiche al cambiamento climatico, al crescere delle aree di guerra come strumento di risoluzione dei conflitti ai morti sul lavoro…bensì scorrendo quelli prima e dopo l’incontro con la Segre io avverto un forte contrasto tra la sua narrazione della quotidianità e quella della Senatrice, sia da un punto di vista storico che di stile di vita.

Non è che il segreto del suo successo, sono banale mi rendo conto, stia proprio non su quello che propone ma soprattutto su quello che omette?

Per una strana associazione mentale nell’approfondire questo evento mi sono ricordato un vecchio saggio di Elias Canetti “Massa e potere” letto tanti anni fa, nel quale si passavano in rassegna le relazioni che passano tra l’individuo e il potere nel momento in cui la persona assume la forma collettiva di folla: in questo caso sono i social che realizzano una sorta di passaggio al contrario: una massa di individui senza identità collettiva che assumono a modello quanto di più individualista e egotico possa esserci.

Se questo è un modello di riferimento con il quale attrarre i giovani oggi lontani dalla politica e dall’impegno sociale non è forse il caso che a sinistra ci facciamo qualche domanda? Eppure di giovani attivamente impegnati nell’associazionismo, nella solidarietà, nella politica, nelle varie forma del volontariato esistono (oltre un milione tra i 14 e i 34 anni secondo la classificazione e dati Istat), ma evidentemente per le leggi della comunicazione non rilevano. Se a sinistra ci si ispira a questa ragazza come un modello per “attrarre” dalla nostra parte i giovani e non solo, magari per qualche dichiarazione ovvia, sul decreto Zan o su essere antirazzisti, credo che la crisi culturale di un pensiero alternativo sia arrivata alle radici.

E c’è un altro punto su cui riflettere: che chi è investito di questo “potere” di orientamento delle opinioni poi alla fine crede di poter agire anche politicamente: ed ecco le dichiarazioni della Ferragni sulla sicurezza a Milano, basate non su dati oggettivi, che dimostrano il contrario, ma sulla personale percezione del problema (se un mio amico è stato derubato allora Milano è insicura…), o sull’aborto, più documentate. Non è in discussione se ha ragione o torto ma la centralità che assume quando fa simili dichiarazioni, che supera di gran lunga non dico quella dei politici, si sa…, ma anche dei competenti in materia.

Questa è la contemporaneità, replicherà qualcuno, certamente; ma non confondiamola con la modernità che a mio parere significa essere veramente innovativi con le soluzioni ai problemi del presente. Invece questi personaggi ci fanno spostare con il loro “racconto” sempre più verso quel pensiero unico, che ritiene questo mondo l’unico possibile, negandogli la sua natura storicamente determinata per assumerla come un dato di fatto “naturale” nella quale solo il successo personale e la ricchezza conta davvero qualcosa. E io continuo a ritenere che non è così.