condivisioni e dintorni…una breve personale riflessione
di luca chiarei

Chiesa di San Nicolò – Treviso – scriba
Dopo averci riflettuto un po’, convinto come sono che la cultura da sola non ce la possa fare a cambiare la rotta di un paese, della società, del pianeta ma alla fine ci voglia la politica, quella brutta, sporca, cattiva e noiosa, ho cominciato a riavvicinarmi all’attività politica diretta. La prima reazione sinceramente è stata di sconcerto, come quando ad un appuntamento ti accorgi che l’orologio si è fermato, non te ne sei accorto ed ora devi correre perché sei tremendamente in ritardo. E non ti rendi bene conto neanche di quello che ti sei perso…
In poche parole, probabilmente complice anche la situazione generale di distanziamento sociale, mi sono trovato ad interagire in una realtà direi totalmente virtuale che pare essere diventata la principale, e a volte unica, area nella quale si svolge l’impegno politico quotidiano di base e questo sinceramente mi ha sconcertato. Non è rilevante citare a quale forza politica mi riferisca perché credo che lo stesso ragionamento lo potremmo fare anche per le altre, forse per qualsiasi altra, organizzazioni sindacali comprese. In questo uso comune di uno strumento comunicativo legato al digitale, che è quasi banale dire non è possibile considerare neutrale, si colloca un minimo comune denominatore trasversale a forze politiche antitetiche tra loro. Una riflessione più approfondita su questo aspetto e non ossessionata dal cavalcare la tendenza contingente non guasterebbe.
Torniamo alla metafora dell’orologio fermo: non sto affermando che ho “scoperto” cose che prima non conoscevo ma che mi sono accorto di non avere colto, ne tanto meno compreso, un mutamento per me quasi antropologico su cosa oggi sia diventata, per almeno la metà del tempo-spazio impegnato per questo, la partecipazione alla lotta politica. Sgombriamo ulteriormente il campo: non sono un nostalgico di niente, né del ciclostile né delle manifestazioni con servizio di ordine ecc. ecc. né tanto meno ho un atteggiamento neo-luddista nei confronti delle tecnologie informatiche. Utilizzo la rete dai primi anni 90, sono di una generazione che ha vissuto la trasformazione dalla macchina da scrivere al blog sul quale sto scrivendo ora e non per questo ritengo che ci fosse prima un’età dell’oro delle relazioni sociali e/o della vita politica che è progressivamente decaduta.
Credo solo che i cambiamenti della realtà debbano sempre essere analizzati con uno spirito critico che ci faccia capire se è come il mutamento sia positivo o meno. L’affermazione dei social all’interno della rete, non è così dilagante come la narrazione comune ci vuole far credere. Riporto alcuni dati prelevati dal sito dell’ISTAT dal quale si ricava che nel 2019 70 cittadini su 100 utilizzano la rete e 55 quotidianamente. Di questi 55 una metà operano sui social. Mi rendo conto che stiamo parlando di milioni di persone che utilizzano questi strumenti ma direi anche di altrettanti milioni che non lo fanno. Altro dato interessante è la percentuale di soggetti che interagiscono con la pubblica amministrazione, funzione che dovrebbe garantire celerità dei processi e sburocratizzazione; ebbene siamo ad un 20% dei 70 cittadini che utilizzano la rete. Ovviamente la mia lettura non è da addetto ai lavori del settore e pertanto altri punti di vista più consapevoli del mio sono certamente possibili. Ma quello che a me pare evidente è che vi sia una enfatizzazione eccessiva sull’uso dei social e sulla loro rilevanza.
Oggi in nome dell’algoritmo di FB, il cui peso deve essere portato dalla propria parte come si carica un piatto della bilancia, si è consolidata una modellistica di gesti virtuali e rituali della partecipazione politica 2.0 standardizzati: la condivisione, il commento (non importa che cosa si dice, basta commentare…), l’immagine del profilo, il “parteciperò” ecc.ecc. nella convinzione quasi apodittica che questo sposti gli equilibri.
Da parte mia trovo più convincenti le teorie di un Lanier, di cui ho già parlato in questo blog, a proposito degli effetti collaterali dell’uso e abuso dei social sulle persone e mi sto persuadendo che forse la strategia da adottare davanti all’uso barbaro e manipolatorio di questi strumenti sia quella dei generali russi quando furono invasi da Napoleone: ritirarsi, lasciare il nemico senza…il nemico, ovvero portare il conflitto su un altro livello nel quale avere più possibilità di essere vincenti.
Non è forse il momento per tornare ad impiegare le energie per abitare nuovamente, fisicamente e realmente, le strade, le piazze, i luoghi della produzione e della cultura?
Pienamente d’accordo ; la politica, quella nobile, era già mortificata per varie ragioni nel nostro paese.La vicenda Covid-19 l’ha mortificata ulteriormente, e non si vede l’ombra di un suo rilancio.Ma mai dire mai : se solo ci fosse un luogo per rimobilitare le coscienze – una volta si chiamava partito – l’imbroglio delle false amicizie perderebbe un po’ di attrattività. Speriamo quanto prima,,,
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Diciamo che ha ulteriormente accelerato dei processi di disgregazione già in atto.
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Aggiungo una ulteriore riflessione, pubblicata su facebook, di una cara amica, Rossana Di Fazio, sempre in merito a questo post:
“condivido ogni riga caro Luca Chiarei; aggiungo che proprio per questo non mi trovo a mio agio, come disorientata e sbalzata via anche nei contesti più amici perché poi le pratiche attirano, rimbalzano e ci prendono tutte le energie.
E questo mi fa pensare che semplicemente sono troppo “grande” per sentire questo tempo come il mio. Fuori dalla giostra ritrovare il tempo dell’azione; e ce ne sono di persone che ci provano, senza preoccuparsi dei social. Una politica diversa, o forse soltanto una vita diversa.”
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