Metrica e sardine…
di luca chiarei

permanente Fondazione Prada Milano-foto mia
Mi capita di partecipare ad un laboratorio universitario sull’uso della metrica in poesia(a chi interessa gli spiego perché…) e nel corso di una lezione sulla relazione/evoluzione tra metrica classica e “moderna”, il ruolo della tradizione e le avanguardie letterarie, si è sviluppata una interessante riflessione che è scivolata al di fuori dell’ambito accademico, dalla nicchia degli “addetti” ai lavori. Dalla premessa che la letteratura, la poesia e l’arte in generale non dovrebbero godere di un regime speciale che li colloca al di fuori della realtà e delle contraddizioni della storia, …
…tanto meno gli artisti dovrebbero pensare di goderne, ciò che accade in ambito letterario è l’allegoria di quanto accade nella realtà, nella polis e di conseguenza nella politica.
“Nulla somiglia al riconoscimento della regola come il rifiuto della regola. Va detto tuttavia che ormai, considerando tutta la strada che va dalla metrica vociano-futurista alla “restaurazione” tradizionalista del ventennio e poi al dopoguerra, sembra evidente che stia costituendosi una vera e propria metricità, canonica dunque, come riconoscimento di forme (o per usare termini della storia della musica, come riconoscimento del carattere chiuso delle forme “aperte” o della melodicità dell’armonia) su una di una oramai più che semisecolare ritmica libera; metricità che non ha i caratteri “reazionari” cioè meramente allusivi e restauratori che ebbe nel ventennio” Franco Fortini – saggio ‘Verso libero e metrica nuova’
Questo il nodo centrale della riflessione di Fortini sviluppata in questo ed altri saggi, da cui è sorta poi la riflessione che segue.
L’allentamento delle regole normative della creazione artistica che ha caratterizzato il passaggio dall’800 al 900 sono state interpretate dalle avanguardie letterarie in maniera spregiudicata e estrema le quali, a prescindere dalla loro collocazione politica, si scagliavano contro la norma vigente con il “progetto” di superarla definitivamente.
Così facendo però in qualche modo ne riconoscevano la esistenza e anche la resistenza storica della norma stessa, metrica in questo caso, che aveva determinato la loro ragion d’essere.
Insomma, in poche parole, essere contro qualcosa e qualcuno può essere praticato solo riconoscendone l’esistenza del contesto normativo, politico, culturale contro il quale ci si scaglia. Se questo è vero nell’ambito letterario e poetico, con tutto quello che questo ha comportato in termini di pulsioni in avanti e ritorni alle forme classiche, rivisitazioni ironiche e dissoluzioni delle avanguardie stesse, credo che lo sia ancora di più nell’ambito politico – ammesso e non concesso che questi due aspetti sia poi possibile dividerli.
In questo periodo in cui si vive un clima politico oscuro, torbido – generato dall’onnipresente convitato di pietra della scena politica italiana -, nel quale si devono rinegoziare non solo diritti che pensavamo acquisiti ma anche le basi elementari della convivenza umana, forse può avere un senso logico domandarsi se continuare a promuovere iniziative per affermare la propria diversità, essere contro e opporsi anche in maniera gioiosa e creativa, alla deriva di oggi abbia un senso, sia la strategia giusta e ci porti all’obiettivo desiderato,
A me pare che una cosa sia confrontarsi politicamente con l’uomo forte della scena politica italiana, proponendo una alternativa comprensibile e popolare, un’altra vivere avendone l’immagine cartonata alle spalle e agire sempre e comunque di conseguenza a questa. Senza mettere assolutamente in dubbio la buona fede di quanti si fanno promotori e interpreti di movimenti, come l’ultimo arrivato delle “sardine” (anch’io mi sento chiamato alla presenza fisica su tutti i fronti necessari…), è lecito chiedersi se così facendo non sia invece un modo per riconoscere ancora di più la forza, resistenza e resilienza ad ogni critica al convitato di pietra di cui sopra? non siamo di fronte invece, drammaticamente, alla generazione compulsiva di nuovi movimenti senza un progetto politico, senza una forza reale di persuasione, di aggregazione, di sintesi che attanaglia tutta la sinistra italiana? In attesa di una risposta vedremo se invece è una primavera fuori stagione…
Quando Fortini era Fortini , ad esempio ai tempi della guerra del Vietnam , non si faceva problemi ad intervenire dal palco di una piazza di Firenze, arringando non solo i giovani ivi convenuti.Quindi, al di là dell’onnipresenza televisiva di Salvini, è stato notato che l’altro suo plusvalore politico è la fisicità dell’abbraccio con il suo popolo.Alle “sardine” riconosco il merito politico di aver ripreso e ricostruito il senso di essere in piazza contro i disvalori propagandati dalle destre. Di questi tempi, avrebbe detto il nostro maestro Franco Fortini, non solo non è poco, ma è un esempio che si sta replicando, fortunatamente, in tutto il paese., a fronte della evaporazione di quel che una volta si chiamava sinistra.
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Verissimo Marco; la mia comunque non voleva essere una presa di distanza ma una riflessione critica su come rendere maggiormente efficace la mobilitazione, l’essere presenti in piazza, cosa che anche ieri non ho mancato di fare.
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