Avanguardie

di luca chiarei

Osservando quello che succede in questo periodo il mio pensiero è andato a quello che accadeva un secolo fa, più o meno negli stessi anni,  in Italia e in Europa in ambito culturale e artistico, nella letteratura, nella poesia, nella pittura… I primi decenni del secolo scorso furono quelli dell’affermazione delle cosiddette avanguardie, tra le quali la più importante è stata senz’altro quella dei futuristi – sorta in Italia -, che fondavano la loro forza da una parte sulla rottura radicale con qualsiasi forma di tradizione regolatrice dei codici espressivi (dalla sintassi alla figura, alle scale musicali…), dall’altra sulla acritica accettazione della contemporaneità che allora era caratterizzato dall’avvento della civiltà delle macchine – delle automobili in particolare – e dalla ossessione per la velocità, per l’idea di un progresso inarrestabile della tecnica fino all’esaltazione dell’individualismo come paradigma liberatorio dell’azione sociale.

Rimanendo all’ambito letterario, la teorizzazione di questi caratteri divenne la costante del movimento, che produsse vari “manifesti” teorici, nei quali si promuoveva l’eversione sintattica con l’abolizione degli aggettivi, dei verbi da usare solo all’infinito, della punteggiatura, nonché la transizione dell’immaginario dal naturalistico all’ambito tecnologico.

Certamente l’azione di questa avanguardia, come di tutte le altre, nella sua fase di rottura e rinnovamento con la tradizione è stata senz’altro positiva: non si instaura alcun cambiamento stabile senza passaggi anche di questo tipo: in letteratura ha contribuito al superamento del lirismo patetico e aulico di tanta narrativa e poesia, nelle arti figurative l’opera di Carrà e Boccioni ad esempio hanno contribuito ad aprire nuovi spazi alla rappresentazione della realtà esterna e interna all’autore, mentre l’azione di critica dell’idea stessa di arte in quanto istituzione era portata avanti da artisti come Duchamp.

Altrettanto certamente nel passaggio tra la Ia e la IIa guerra mondiale questa spinta si è progressivamente esaurita per cui è lecito domandarsi, a distanza di un secolo, quale possibile giudizio storico è formulabile, quale è stato l’esito nel lungo periodo sulla cultura di oggi, al di là delle ricorrenti mostre e eventi dedicate a questo periodo.

I risultati più significativi penso che risiedano in quegli autori e “correnti” che negli anni successivi, a partire dalla rottura con la tradizione letteraria del loro periodo storico, hanno saputo poi ricollegarsi ad essa direttamente o indirettamente, rinnovarla e rielabolarla in modo non effimero. Penso allo stesso Ungaretti, contemporaneo di quel periodo, alla poesia ermetica, Montale, allo sperimentalismo dei Sanguinetti e Zanzotto o al gruppo 63 e altri ancora.

Probabilmente forzo il parallelismo ma pensando alla attuale situazione politica che si è determinata dopo le elezioni mi sembra che sia possibile stabilire una connessione tra i comportamenti delle avanguardie culturali di allora con l’ “avanguardia politica” di oggi, interpretata dal M5S, essendo evidentemente venute meno la rilevanza delle forze legate alle tradizioni politiche più consolidate della destra come della sinistra.

Il M5S, il cui nome allude a non si sa bene cosa ma che nella società del marketing evidentemente funziona, nel suo non collocarsi ne a destra ne a sinistra, ne in alto ne in basso ma semplicemente come la forza che rompe con qualsiasi tradizione precedente sembra destinato ad essere il soggetto che fa tabula rasa delle sintassi politiche vigenti e riparte da zero.
Non avendo/volendo avere una tradizione a cui fare riferimento, come i futuristi di allora, assume a verità assolute i paradigmi digitali del presente: se i futuristi avevano il mito della macchina e della velocità come strumenti di liberazione umana, i pentastellati hanno il mito della rete e della democrazia digitale come orizzonte salvifico, come tecnologia neutra che per inerzia promuove la partecipazione e la democrazia; se i futuristi avevano il manifesto di Marinetti con la distruzione della sintassi e di ogni regola grammaticale, vissuta come un fastidioso ingombro formale alla libera espressione, il movimento di Grillo manifesta il fastidio esplicito per le regole della democrazia parlamentare e istituzionale al punto di arrivare a proporre l’estrazione a sorte dei parlamentari che invece dovrebbero essere investiti da un preciso mandato elettorale.
Il contratto di governo, per il quale ci sono voluti mesi di trattativa, nonostante l’esito del voto non dava adito a dubbi, è da questo punto di vista esemplificativo della concezione stessa del bene pubblico e della capacità di governo del movimento.

Nel frattempo la sinistra, nella sua componente maggioritaria, si potrebbe dire che ha agito negli anni una linea speculare a quella dei grillini, per cui invece di rinnovare la propria tradizione nel radicamento sociale l’ha in qualche modo dissolta in una prospettiva di accettazione del pensiero unico in ambito economico, di negazione delle differenze e del conflitto.

Il dato evidente che ora emerge dal governo a baricentro M5S è il sincretismo “avanguardistico”, per usare un eufemismo, dell’azione politica di governo. Troviamo veramente di tutto, dalle politiche di inclusione a quelle discriminatorie, dall’uguaglianza all’istituzionalizzazione dei cittadini di seria A e quelli di serie B (neri, immigrati, Rom ecc. ecc. al punto di fare venire meno il principio fondamentale per cui ogni uomo è portatore degli stessi diritti alla propria realizzazione), dalla decrescita alle liberalizzazioni dell’iniziativa economica, i diritti civili e la famiglia “naturale” da difendere, dalla forza come strumento della politica…

Credo che quello che dovrebbe essere la precondizione dell’azione politica, ovvero l’onestà, la ricerca del bene pubblico e non l’interesse individuale, la rinuncia a privilegi e rendite di posizione, quando diventa l’unico contenuto fondamentale, non è sufficiente di per se a dare vita ad un programma credibile. Spiace che molti a sinistra abbiano creduto a questa proposta politica in nome di una conflittualità/competizione interna del tutto autoreferenziale e sterile.

Come uscirne? come molti altri non lo so, posso solo manifestare l’esigenza che ai danni generati dall’improvvisazione al governo, da questa fibrillazione generale che si vuole fare passare come “cambiamento”, dall’odio sociale che ha fatto emergere e alimentato, si sviluppi una iniziativa politica che ricostituisca la propria identità a partire dall’ascolto, dalle radici culturali migliori che hanno costruito la società di questo paese e che, a tutta la società, sappia rivolgersi e dialogare.

Penso al al lavoro come questione centrale e fronte rispetto al quale si sia capaci di praticare la critica al pensiero unico e ai modelli di sviluppo dominanti, al volontariato sociale e solidale, al fare sindacato come servizio di tutela collettiva e individuale, al femminismo e all’ecologismo come paradigmi dell’azione politica e forme del pensiero e non “aggiunte” ad altro. Sarà possibile…? non è dato saperlo ora ma certamente è ora il momento per ripensare e riflettere su tutta la deriva che ci ha portato a questo punto.