che fare…

di luca chiarei

Pensando a che fare la prossima domenica mi è tornato in mente questo quadro di Kiefer, che è possibile vedere all’ Hangar della Bicocca (uno spazio espositivo di Milano dedicato all’arte contemporanea), che trovo molto calzante per introdurre una riflessione sui tempi che stiamo attraversando. Nel quadro è rappresentata una figura umana al centro di una palude surreale nella quale si fatica a distinguere l’alto e il basso, ciò che è solido da quello che non lo è. Un insieme che restituisce in un’atmosfera dantesca una sensazione di rigore, rigidità, freddo. All’orizzonte, attraversato da un arcobaleno livido e grigio, si intravedono a fatica i nomi scritti in corsivo di vari filosofi della cultura tedesca. Da Engels a Marx, da Hegel a Nietzche…nomi scritti con una calligrafia incerta, appena intravista, forse per stabilire un rapporto asimmetrico tra il soggetto che li osserva o cerca di farlo e la profondità del pensiero che rappresentano. Restano così un riferimento vago, nebuloso, incerto. Non so se sto forzando l’interpretazione del quadro, se queste erano le intenzioni dell’autore ma a me ha dato il senso della precarietà, della instabilità di qualsiasi scelta possibile – che si orienti in una direzione piuttosto che nell’altra, la necessità del pensiero critico che non faccia sconti alla voglia di certezze.

La consapevolezza di questa condizione mal si coniuga con la propaganda politica, nella quale invece la necessità di aggregare consenso deve fondare un orizzonte politico e culturale certo, stabile, che dia sicurezza e divida chiaramente il campo tra quelli pro e quelli contro. Allo stesso modo scegliere se votare o meno e se votare chi, è una operazione che si muove all’interno di questo quadro, reale o metaforico che sia. In questi giorni mi sono confrontato con chi da sinistra (?) non vede più distinzioni e differenze nell’attuale quadro politico (vedi questo intervento apparso su Poliscritture). In queste posizioni, come in quelle oggi prevalenti di una generalizzata sfiducia nei confronti dei politici e della politica in quanto tale, con il livore che ne segue, quello che si perde di vista sono le responsabilità.

Se la situazione italiana è questa non è solo colpa di chi ha assunto un ruolo politico, o di un politico particolare “capro espiatorio”, ma è anche e forse soprattutto della cosiddetta società civile, le cui responsabilità non sono da meno. Una classe politica opportunista e trasformista, concentrata solo sul qui ed ora e incapace di prospettive di lungo periodo basate sull’interesse generale, non è il riflesso della società civile? Perché la società civile è certamente il volontariato e l’associazionismo ma sono anche i cittadini – me compreso – che invece dell’impegno quotidiano per il bene comune si guardano San Remo, il campionato di calcio, programmano le prossime vacanze, si voltano dall’altra parte e si chiudono nelle loro case a doppia mandata. L’idea che i cittadini siano meglio dei politici è solo una divagazione romantica e semplicistica.

Dunque che fare? Innanzitutto votare.

Non credo affatto, in mancanza di alternative praticabili e concrete, che la scelta di non votare esprima in qualche modo una prospettiva politica. Probabilmente sarà il primo partito ma al di là di esprimere disagio e distacco alimenterà una melma ideologica utile poi per qualsiasi strumentalizzazione. Che un governo o l’altro non faccia differenza e che la vita quotidiana dei singoli non cambi penso semplicemente che non sia vero. Se osservo quello che è successo negli ultimi 4 anni – solo per fare qualche esempio, dal Jobs Act, la possibilità per le aziende di licenziare in maniera più facile senza un reale incremento di occupazione al netto degli incentivi, alle leggi sul testamento biologico o sulle unioni civili, dal cosiddetto SbloccaItalia ovvero la possibilità più accelerata di eludere i vincoli ambientali, al ripristino della perequazione delle pensioni o la rimodulazione delle detrazioni, ne esce un quadro che, magari in minima parte, nel bene e/o nel male, ha cambiato la quotidianità di qualcuno.

E una volta deciso di votare scegliere a sinistra.

Perché le forze in campo rendono evidente che la distinzione destra/sinistra è tutt’altro che superata. Scegliere poi all’interno della sinistra e delle sue declinazioni (dalla quale escludo il M5S per l’assoluta contraddittorietà della politica(?) che esprime nella quale c’è tutto e il suo contrario), quella che maggiormente mi corrisponde. Scegliere facendo la tara dagli aspetti personali, dai percorsi contraddittori e opportunistici di molti candidati, dalle ambiguità e contraddizioni inevitabili dei gruppi, che come segnano le nostre relazioni personali segnano anche quelle politiche.

La discussione a sinistra, sulla sinistra che è tutta uguale mi pare una perdita di tempo (le distinzioni ci sono non solo per questioni personali), come quella sul cosiddetto “sedicente” di sinistra. Tutti siamo “sedicenti” rispetto ad un ideale; misurarne le distanze o scomunicare quello che ci pare lontano non serve. Serve riportare il discorso nella dimensione orizzontale dei programmi, che nel vortice mediatico dei social e dei like pare non interessino nessuno.

La sinistra la misuro su quale politica economica propone, sulla capacità di contrastare il pensiero unico, su quale idea del mercato del lavoro e dei rapporti di forza al suo interno, su come redistribuire la ricchezza non solo con i bonus, su quale idea di sviluppo e di compatibilità con le risorse ambientali. Non bastano solo le politiche laiche dei diritti civili e individuali, assolutamente necessari e giusti, ma che caratterizzano storicamente le politiche liberali e liberiste.

Per questo voterò tenendo conto anche dei rapporti di forza, chi in qualche modo, in una logica di riforme radicali, si pone il problema di coniugare questi aspetti in termini di giustizia sociale e uguaglianza e non solo in termini assistenziali. E lo farò con l’incertezza della figura di Kiefer.