In ricordo di Danilo Mainardi
di luca chiarei
Ora che si è conclusa l’attenzione mediatica, non molto lunga per la verità, intorno alla morte dell’etologo Danilo Mainardi, desidero parlarne. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, di avere avuto una breve frequentazione per la quale organizzai con lui anche una iniziativa pubblica.
Quasi tutti i media lo hanno ricordato come il grande etologo amante degli animali e ambientalista. Che Mainardi fosse anche questo è indiscutibile ma per me la sua originalità consisteva nel fatto che era un grande uomo di cultura.
Uno dei pochi che anche dal suo particolare punto di vista riusciva ad avere una visione della società non settoriale ma globale; era capace cioè di relativizzare il proprio punto di osservazione per incardinare la questione ambientale non solo all’interno di un dibattito scientifico di addetti ai lavori, ma di agganciarla al dibattito politico e culturale della nostra società sul modello di sviluppo. Parlava di etologia degli animali ma a mio parere senza essere un animalista, così come oggi si definisce questo orientamento sempre più pervasivo nei media dei tempi presenti; non era vegetariano ad esempio e il suo amore per l’etologia era basato su una struttura di pensiero generale.
“E’ possibile al giorno d’oggi parlare di animali trascurando il loro rapporto con l’uomo?…se si vuole fare un discorso un poco generale, soprattutto se si ritiene utile coinvolgere anche persone non proprio addette ai lavori allora credo di no. E credo anche che, al giorno d’oggi, tutti dovrebbero essere consapevoli che non ci siamo soltanto noi in questo mondo sempre più sconvolto e affollato. Che non c’è solo l’economia, la poesia, la storia (ottima cosa), ma pure quella storia detta naturale, e l’ecologia, la botanica e la zoologia. Questi settori del sapere, ne sono convinto, non possono più essere ritenuti marginali. Non possiamo permettercelo perché fatalmente diverranno una struttura portante del nostro benessere, per non dire della nostra stessa sopravvivenza” – dall’introduzione de “la strategia dell’aquila” Mondadori
Siamo ben lontani da una visione idealizzante o religiosa dell’animale o della natura come principio ordinatore della vita umana, ma ci confrontiamo con una visione a rete dei saperi. Per fare questo però è necessario che le persone che si fanno portatori di culture diverse riescano a dialogare tra loro, cosa che nella mia esperienza all’interno dei movimenti è stato pressoché impossibile.
All’alba del movimento ecologista nel nostro paese, che io colloco nella nascita delle liste verdi a cavallo fra gli anni 70 e 80, vi era la profonda convinzione che le contraddizioni dello sviluppo avrebbero fatto aumentare la consapevolezza generale e modificati gli orientamenti generali della produzione come del consumo. A distanza di oltre 30 anni da allora è certo aumentata la consapevolezza, oggi che tutto è bio, è verde, è eco… ma non possiamo certo dire che sia cambiato il modello di sviluppo. Le faticosissime e quasi irrisorie limitazioni assunte con gli accordi di Parigi del 2015 sono ora nuovamente in discussione per mano di Trump, eletto a furor di popolo. E’ evidente allora che non basta un approccio esclusivamente tecnico-scientifico se non è supportato da un pensiero moderno e laico che lo supporti. Mainardi per me ha rappresentato questa capacità di elaborazione culturale e di essere lui come persona un luogo di incontro. Non ne vedo altri né come singole persone né come organizzazioni ambientaliste. Per questo mi mancherà.
….o abbiamo deciso che gli animali, tra cui i nostri simili, li schiavizziamo, mangiamo, torturiamo, sterminiamo oppure qualcosa deve cambiare nel nostro rapporto con loro…e Danilo Mainardi era in prima linea
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