La poesia dell’Isis
di luca chiarei

Andrea di Bonaiuto, Esaltazione dell’ordine domenicano (La Chiesa militante e trionfante), 1365-68, affresco, Cappellone degli Spagnoli, Firenze – Particolare degli eretici – la foto è mia
Segnalo l’articolo pubblicato nel numero 1132 di Internazionale dal titolo “La poesia dell’Isis”. Si tratta della traduzione di un articolo uscito sul “The New Yorker” a firma di Bernard Haykel, direttore dell’istituto per gli studi trans-regionali del Medio Oriente, Nord-Africa e Asia centrale della Princeton University e professore di cultura orientale e Robyn Creswell, docente di Letterature Comparate all’Università di Yale, poeta e redattore della rivista The Paris Review. Per chi l’ha perso potete trovare qui l’originale e una traduzione dal sito Asiablog.it. Davanti ad un titolo di questo genere la prima reazione è stata quella dello spiazzamento: ma come, la poesia, l’arte della bellezza e del sublime associata allo stato islamico, al califfato dei tagliatori di teste e della dittatura teocratica?
Approfondendo la questione ho verificato subito che il titolo originale dell’articolo era un po’ diverso, e ancora più provocatorio, rispetto a quello della traduzione italiana: “Perché i jihadisti leggono la poesia – vuoi capire i jihadisti? leggi la loro poesia” che a mio parere rende meglio il senso di questa riflessione.
E’ indiscutibile che oggi il rapporto con il mondo islamico sia conflittuale, se pure con varie gradazioni che vanno dallo scontro violento e bellico, al confronto culturale. Sottrarsi a questo confronto, alla sfida che l’Islam nelle sue varie articolazioni politiche, in particolare quelle più radicali, non ha senso e forse è impossibile: allo stesso tempo si deve riflettere senza sottacere la distanza che oggi separa la cultura occidentale e laica della tolleranza e della democrazia, e le proprie contraddizioni che hanno prodotto imperialismo, guerre e sfruttamento anche nei confronti dei paesi arabi. Come dicono giustamente gli autori “È impossibile capire il jihadismo – i suoi obiettivi, il suo fascino agli occhi delle nuove reclute e il suo successo – se non si esamina la sua cultura. Questa cultura si esprime attraverso una serie di forme, compresi i canti e i video, ma la poesia occupa un posto centrale.” A questo sforzo di comprensione dobbiamo orientarci e articoli come questo vanno in questa direzione.
L’importanza che la poesia assume nella costituzione di una identità collettiva, che sia un popolo o una comunità politica, non è certo uno specifico dell’Islam o del movimento della jihad. Nella tradizione culturale occidentale troviamo corrispondenze nella poesia epica, ad esempio, che entrava a far parte della narrazione collettiva di un popolo, costituendone l’identità culturale. Esempi classici sono i poemi come Iliade e Odissea che stanno alla radice della nostra cultura ma pensiamo anche a narrazioni come le saghe o, per restare in tema, il ciclo carolingio e bretone della celebre Chanson de Rolande di epoca medioevale, frutto di una scrittura collettiva fatta da tanti autori anonimi.
In essa dove si narravano le imprese di Carlo Magno in Spagna contro i Saraceni – gli infedeli, esaltando le gesta eroiche dei paladini Orlando e Rolando, troviamo la corrispondenza speculare con il tipo di poesia illustrato nell’articolo, ovviamente in senso contrario (gli infedeli ora siamo noi…).
Oggi la grande parte della poesia che si scrive in occidente,soprattutto quella dei “moltinpoesia” è incardinata nell’esperienza individuale del singolo; difficilmente il poeta si assume le proprie responsabilità davanti agli eventi della contemporaneità anche se le occasioni e l’assoluta gravità di quello che nuovamente accade in Europa, non mancano certamente. Venire a conoscenza che Is, Al Qaeda e movimenti simili “producono un’enorme quantità di poesia”, che “La maggior parte di questa produzione circola online, attraverso una rete clandestina fatta di social network, siti specchio e proxy, che hacker e servizi di sorveglianza fanno apparire e scomparire a velocità incredibile”; che i personaggi di spicco della jihad sono poeti acclamati come rock star; che tra i militanti ci si confronta a colpi di versi e che “di tutti i poeti jihadisti, Bin Laden era il più apprezzato, e che “gran parte del suo carisma nasceva dalla sua padronanza dell’eloquenza classica.” non può che lasciarci sconcertati, soprattutto della nostra mancanza di conoscenza reale di quello che accade alle porte dell’occidente (e anche dentro…).
In questo senso forse si possono comprendere le ragioni per cui tanti giovani, anche europei, trovano una risposta alla loro ricerca di identità nell’islam più radicale. In questa cultura trovano oggi quel “noi” che, in Italia come in Europa, dalla politica alla cultura, è disperso e frammentato in miriadi di modelli individuali. Una ricerca di senso che si va a saldare con il malcontento e disagio arabo che, dal primo califfato smembrato nel 1924 dopo la fine dell’impero ottomano, ancora si trascina senza che si vedano soluzioni possibili.
Detto questo non si può prescindere dal giudizio sul merito: l’esaltazione per l’uccisione del nemico nei modi più efferati, perché poi di questo si tratta, non potranno essere giustificati e nobilitati da endecasillabi o metriche classiche. Anche da questo punto di vista il tema è spiazzante: gli autori ne parlano e citano ad esempio come Al Nasr, una tra le più acclamate poetesse “ha scritto poesie in lode di Abu Bakr al Baghdadi, l’autoproclamato califfo dell’Is, e nel febbraio del 2015 ha pubblicato un articolo di trenta pagine per difendere la decisione dei vertici di uccidere il pilota giordano Moaz al Kasasbeh bruciandolo vivo”. Se pensiamo all’associazione quasi istintiva che di solito si opera tra poesia e “bello”, poesia e il sublime che abita il mondo…evidentemente non è proprio così.
L’analisi critica del testo poetico deve essere anche contestualizzata e non può prescindere dalla verifica etico-politica del contenuto, che in casi come questo non può essere accettato. Buona lettura
..grazie Luca: veramente interessante e, per certi versi come ben dici, spiazzante questo articolo sulla poesia dell’Isis. Non ne sapevo nulla e mi spaventa l’idea di una funzione propagandistica della poesia, in quanto voce epica, eroica può facilmente raggiungere un popolo, trasmettendo così i messaggi dei suoi capi o leader. Noi, intendo occidente e oriente, avremmo più bisogno di una poesia del popolo
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Anch’io trovo l’articolo estremamente interessante: esso non dovrebbe soltanto farci riflettere non solo sulle culture apparentemente estranee al nostro modo di vivere e pensare. Possiamo ricavarne un senso più ampio: la nostra cultura occidentale dà i primi passi con un poema come l’Iliade, in cui violenza, crudeltà e inganno sono innegabilmente i valori in campo. Chi con ingenuità afferma che la poesia è sempre segno di pace, manca di menzionare esperienze centrali nel nostro ‘900, come ad esempio il futurismo, in cui velocità, violenza e guerra sono state esaltate fino a divenire paradigmi del moderno o, al di fuori dei nostri confini nazionali il Gottfried Benn. Una critica che si rispetti deve rendere conto di questa insanabile ambiguità di fondo, che permea la letteratura come la vita.
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Poesie dell’ISIS.
Complimenti a Luca Chiarei per il suo scritto sulle poesie dell’Isis. Lo trovo molto comprensibile nell’esposizione e sanamente provocatorio cioè stimolatore di osservazione ulteriori.
1.
Non posso ovviamente valutare la validità “ estetica “ di testi che non conosco e non è questo – mi pare – il senso di quanto L.C ha elaborato. Relego pertanto sullo sfondo una domanda che , come è noto, si presenta sempre di fronte ad una poesia: dobbiamo limitarci a verificarne i valori estetico- formali o apprezzare anche il suoi contenuti etico-politici ?
Aderisco senz’altro all’osservazione di L.C nel punto in cui rileva, esattamente, come non mancano nella nostra tradizione culturale esempi di poesia che esprime, attraverso una declamazione corale, le lotte di un popolo di una certa cultura contro popoli di cultura opposta.
Sotto questo aspetto non deve meravigliare che accanto alla Chanson de Roland e tutti i canti che suonano : “ Si risvegli il Leon di Castiglia contro il Moro oppressor “ esistano composizioni che inneggino ad eroi d’altro nome contro i cristiani infedeli. Più indietro un poema eterno come l’Iliade canta la guerra tra contro Troia e non risparmia a noi lettori lo scempio del cadavere di Ettore, nemico di Achille. Del resto basta leggere i libri di storia, più o meno attendibili nelle loro ricostruzioni, per convincerci dell’inestirpabile realtà degli orrori perpetrati equamente dagli uni e dagli altri e dai contrapposti giudizi che vengono dati agli autori di queste stragi. Così viene nutrito un agnosticismo che è certamente un elemento di disturbo nelle nostre riflessioni.
Una di queste è la seguente. Perché mai non ci poniamo problemi di ordine diverso da quello strettamente estetico di fronte a testi truculenti del passato e ce li poniamo ora ? La risposta che so dare è questa: i testi del passato – ancorchè si riferiscano a fatti realmente accaduti – sono
“ favole “, termine che io uso in senso molto particolare come “ fatti che non incidono nella nostra vita presente “ cioè in quella catena di rapporti di vario tipo che costituiscono la trama del nostro vivere assieme ad altri. Questo atteggiamento è giustificato – se così si può dire – dalla considerazione che è rilevabile una sorta di abissale distanza tra il testo poetico e la realtà quotidiana . Ma tale rapporto è fatalmente destinato a capovolgersi quando la realtà quotidiana
perpetua l’orrore e i fatti che lo suscitano sono “ interni alla trama del nostro vivere “ e sono destinati ad incidere in vario modo su di essi. E’ in fondo lo stesso atteggiamento di quei poeti antichi che riconoscevano la grandezza dell’Iliade e – nello stesso tempo e un po’
“ contraddittoriamente “ lamentavano. “ Quis fuit horrendos primus qui protulit enses “
( Tibullo, I,10 ) quasi che le armi di Achille fossero spade di carta stagnola. E’ chiaro che le prime non lo ferivano mentre lo coinvolgevano in qualche modo – magari solo la paura di una delle tante guerre portate da Roma – le spade dei guerrieri reali del suo tempo .Ma a volte la guerra viene lodata come mezzo necessario per la salvezza di una certa civiltà. Nell’ode All’Italia il nostro Leopardi usa toni omerici per descrivere l’” orrida pena dei Persi “ la cui piaghe sono ascritte tutte come posta attiva dei Greci vincitori. Chi chiamasse Leopardi sarebbe commiserato come pazzo o ignorante. Se vale anche per il Nostro l’osservazione che egli canta di guerre passate il lettore ignorante avrebbe a suo vantaggio l’osservazione che Leopardi parla di tali guerre per stimolare a reazioni ( guerresche ? ) anche la nostra patria. C’è una sorta di strabismo in tutta la letteratura e non solo in quel settore di essa che si chiama Poesia. Di Celine disturba fino all’ostracismo letterario il suo antisemitismo ma si ammira – forse esageratamente – lo stile ( vd Raboni ). Dobbiamo concludere per un’assoluta autonomia della Poesia dalla Morale e dal Giusto ovvero predicare che la Poesia non è tale se non persegue un fine giusto ?
A tale domanda capitale – che avevo accantonato – sembra ineludibile ritornare. E il merito dello scritto di L.C è di avercelo ricordato.
Penso che la riluttanza di molti poeti ad elogiare o condannare le guerre si fondi su una sorta di onestà, come si fonda sull’onestà l’atteggiamento di quei “ teologi atei“ che nel distruggere teoreticamente la religione cristiana hanno continuamente avvertito la necessità di “ ucciderla con onore “ . Resta da vedere chi sarà la vittima designata.
2.
Posto che – l’osservazione è banale – prima si vive e ci si aggrega e poi si fa poesia, credo che la presenza di una “ poesia dell’Isis “ sia una sorta di conferma di qualcosa cui ho accennato in un recentissimo passato a proposito della guerra asimmetrica ( ni scuso per l’autocitazione ).
Ero e sono convinto che l’Isis- uso termini convenzionali ed approssimativi ma di generale comprensione realizzi o tenti di realizzare, su una base sociale definita o definibile con sufficiente chiarezza, uno Stato vero e proprio, cioè una aggregazione sociale organizzata su idee, valori, credenze e culture specificamente proprie. Tutte queste forme di aggregazione si sono espresse in passato e continueranno ad esprimersi “ anche con moduli artistici propri “ e quindi anche con testi poetici definiti, nei loro contenuti, da idee, valori, credenze e culture specificamente proprie. Ma saranno specificamente propri anche “ i modi “ di tali espressioni artistiche perché mi sembra del tutto spiegabile che uno Stato nascente e “ liquido “ proponga una poesia orale ; che uno Stato in guerra proponga una poesia battagliera e così via.
3.
Le ragioni per cui alcuni “ occidentali “ finiscano nelle “ schiere dell’Isis “ vanno riscontrate in una serie di fattori che si possono riassumere in due parole “ delusione per un modello di civiltà e speranza in un altro modello “. Si tratta di movimenti meditativi antichi quanto il mondo che – sotto questo aspetto – non presenta nulla di nuovo. Rispetto a tali meditazioni ciascuno ha una propria responsabilità sia nella valutazione che nella scelta dei mezzi.
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