1° maggio 2015, è passato ormai un mese…

di luca chiarei

noexpo

…dalla manifestazione del 1°Maggio a Milano di critica ad Expo e di discussione intorno ad essa ce n’è stata molta. Segnalo quella che si è sviluppata sul Blog di Poliscritture. Riporto il mio intervento in risposta ad altri e invito a leggere anche la replica successiva al mio, che giudico molto interessante pur nella diversità di idee, e qui la mia ulteriore risposta.

Su una cosa concordo con l’incipit di Ennio: serve un progetto politico! eccome se servirebbe ma di certo non se ne vedono nel senso auspicato da questa discussione. Detto questo non capisco però come dalla “pagliuzza” del teppismo ribellista e del vandalismo fine a se stesso possa scaturirne uno capace di fermare la “trave” del potere capitalista, delle grandi opere, dello sfruttamento globale ecc. ecc. A meno che non si voglia ragionare, vista la situazione, nei termini del tanto meglio tanto peggio; se fosse così allora non parliamo di progetti politici.
Affermando che manca un progetto politico cosa si auspica? un bella macchina ideologica coerente con se stessa da mettere in vetrina, oppure un progetto capace di acquisire un consenso rilevante nella società mediando con gli interessi che vi si contrappongono, le contraddizioni della violenza, dei compromessi in essa contenuti? Se invece del consenso non ce ne curiamo immaginiamo forse che ci sia un potere nascosto in qualche stanza da andare a “prendere” con qualsiasi mezzo (non per forza la violenza ma anche utopie di ore X nelle quali scattano universali consapevolezze…)? Io penso che senza un consenso significativo non si possano realizzare stabili cambiamenti e non comprendo come si possa pensare che la violenza generalizzata e diffusa vista il primo maggio possa contribuire a crearlo; come non penso che con gli anni ’70 in Italia la storia della sinistra si sia fermata e non è successo più niente di significativo da cui si possa attingere per ripartire con un progetto politico.
D’altra parte i progetti politici di altro segno e direzione ci sono: quello che manca a “noi” è anche conseguenza di una opposizione frantumata, quasi orgogliosamente, incapace di trovare dei minimi comuni denominatori. Negare una valenza politica alla violenza di un certo tipo di manifestazioni non vuol dire tuttavia fare una speculazione morale sulla questione violenza/non-violenza. Il punto vero non è tanto assolutizzare una posizione o l’altra. Gandhi affermava che “La mia nonviolenza non ammette che si fugga dal pericolo e si lascino i propri cari privi di protezione. Tra la violenza e una fuga vile, posso soltanto preferire la violenza alla viltà. Non posso predicare la nonviolenza ad un codardo più di quanto non possa indurre un cieco a godere di visioni piacevoli” da “Teoria e Pratica della nonviolenza” Einaudi 1974. Il punto è l’azione e quali strumenti sono coerenti con i fini che si vogliono realizzare, quali strategie mettere in campo. Per me non servono veleni per fare tabula rasa, ma assumere il minor male della democrazia ed i suoi strumenti, nonostante le sue contraddizioni, in quanto preferibile comunque agli uomini soli al comando, alle oligarchie, alle avanguardie rivoluzionarie, di destra o sinistra che siano.
A quella manifestazione hanno partecipato entrambe le mie figlie (poco più di 40 anni in due…) e di questa loro scelta io sono contento. Primo perchè è sempre meglio scegliere accettando il rischio di sbagliare che l’indifferenza (Gramsci); secondo perchè credo che le ragioni per una critica radicale all’EXPO siano del tutto ragionevoli e condivisibili. Quel pomeriggio mi sono ovviamente preoccupato per quello che stava succedendo ma in fondo ero anche contento che la causa fosse di questo tipo e non altro.
Volutamente non hanno in alcun modo partecipato agli incidenti, marciando in uno spezzone di corteo nel quale praticamente non si sono accorti di quello che stava succedendo, se non per le telefonate degli amici, sms ecc… In quella ampia parte di corteo, che è stato anche numericamente maggioritario, hanno continuato a manifestare le loro ragioni, che sono state mediaticamente oscurate dal contesto generale. Da qui il loro senso di delusione e frustrazione, e di tanti altri giovani come loro, per una esperienza che non ha in alcun modo centrato gli obiettivi prefissati a causa di fattori esterni. Già la sera la discussione che facevano tra loro era come organizzare manifestazioni pubbliche senza la presenza di quei soggetti (blocco nero, black block ecc. ecc.) che deviano l’attenzione dai contenuti e provocano la reazione nel breve medio periodo del restringimento degli spazi democratici, non certo il loro allargamento. La manifestazione è stata anche questo, teniamone conto e cerchiamo di non spezzare su questo un dialogo possibile, anche se si muove su coordinate e modalità altre dagli schemi ideologici a cui siamo abituati.