
E’ questo il titolo di un simpatico libro di David Foster Wallace che mi è venuto in mente dopo avere partecipato ad uno slam poetry qualche settimana fa. Per chi non lo sapesse lo slam poetry è una di quelle tante forme di lettura delle poesie in pubblico, proprie e di altri, nelle quali i presenti di un locale giudicano e votano quello che ascoltano. Non mi sono stupito di avere pensato proprio a questo libro (se non l’avete ancora letto fatelo che vale la pena), così che un paio di pensieri veloci, forse anche seri ma certamente leggeri, su questa microesperienza mi va di spenderli.
Cominciamo dal locale: è quello indicato nella locandina, il più classico che c’è tra quelli di tendenza a Milano, per giovani al massimo 30/35 anni (che è un età singolare per considerarsi giovani ma tant’é), nel quale se non bevi alcolici alle 18.00 del pomeriggio ti guardano male.
Incredibilmente mi sono accorto che c’era un pubblico di persone venute apposta per assistere allo slam diverso dagli amici/compagni dei “poeti” (poiché nella categoria sono ricompreso anch’io non ce la faccio a non mettere le virgolette…)
Inizia il gioco (definizione non mia ma degli organizzatori dell’evento che condivido), con l’invito a tutti i presenti alla leggerezza, a non prendersi troppo sul serio. Iniziamo così con il primo giro di poesie dei partecipanti. La mia sensazione è stata subito quella di essere la persona sbagliata, nel posto sbagliato nel momento sbagliato…a differenza di David Foster Wallace che nonostante la assurdità di tante situazioni che gli capitava di vivere, comprese quelle di una crociera di ricchi americani pensionati nei caraibi raccontate nel libro, sembrava essere sempre consapevolmente a proprio agio. Detto questo al mio turno leggo “Delivery”
Ascolto le altre poesie (vado a memoria, a sensazione perché i testi non ci sono e non sono reperibili) e il filo conduttore che emerge è l’IO del poeta: che ama, che si innamora, che guarda negli occhi, si indigna (non per la guerra ma per le foto su instagram…) fa la fila al supermercato, perde lo scontrino ecc. ecc
Con tutto il rispetto per gli autori a me pare che questo tipo di testi si muovano in territori adolescenziali, anche se ad interpretarli non sono adolescenti. Però ripeto che vado a memoria e pertanto anche sulla base di possibili miei pregiudizi. Non voglio con questo generalizzare che tutti gli slam siano così; io sto parlando solo di quello a cui ho partecipato. Tornerò senz’altro ad assisterne ad altri, spero per essere smentito.
Secondo giro: si doveva condividere una poesia di un poeta morto. Tra una rivisitazione del “Il sabato del villaggio” di Leopardi (a proposito di ego…), una bella poesia di Sbarbaro (i crepuscolari ovviamente non possono mancare), Montale che scende il suo milione di scale – bella poesia certamente ma che oltre a dimostrare i suoi quasi 60 anni ormai sa di mainstream poetico nazionale -, io ripropongo ancora Leopardi e quello che reputo lo “sperimentalismo” poetico razionalista di 190 anni fa contenuto nella poesia “A se stesso” (lo ammetto, il verso finale “E l’infinita vanità del tutto” mi lascia sempre stupefatto…), il gioco si conclude.
Capisco che la mia affermazione sullo sperimentalismo di Leopardi, oltre al grado di presunzione che contiene, può fare discutere ma argomentarla in questa sede ci porterebbe lontano dal senso principale di questa riflessione.
A questo punto mi chiedo: che cosa vota il pubblico tra un drink e l’altro? I testi? Non credo. In una scala da 1 a 10 nessuno ha meritato l’insufficienza, ma neanche il 6 “politico”, cosa che mi appare come una strana dimostrazione di indulgenza generale. La simpatia dell’autore? L’orientamento di genere? Le capacità cabarettistiche? Molto più probabile.
E così è andata, “vince” una ragazza (oggettivamente giovane, non saprei come altro definirla…), quella della poesia dello scontrino perso, mi pare…Intendiamoci, non c’è assolutamente niente di male se gruppi di giovani si trovano una sera per sentire poesie e giudicarle. Anzi, ce ne fossero sempre di più sia di questo tipo di giovani sia di queste occasioni. Se poi penso a tanti altri tipi di reading poetici tradizionali, che assomigliano più a liturgie laiche per nuove sette poetiche che a momenti di approfondimento sul senso della poesia, preferisco certamente uno slam.
La mia conclusione oggi però è che non vedo, tra l’una e l’altra modalità di espressione orale della poesia, qualcosa che mi convinca veramente, che dimostri che nel 2023 si possa tornare a fruire della parola poetica in modo consapevole e motivante, andando oltre l’intrattenimento. Continuerò a guardarmi in giro…

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