GAZA CITY – RASA DISCANTO di Sandro Sardella

di luca chiarei

gazamacerie

GAZA CITY – RASA DISCANTO

“Mentre in lontananza rombava il tuono dell’artiglieria,
noi incollavamo, recitavamo, componevamo versi e
cantavamo con tutta l’anima. Eravamo alla ricerca di
un’arte elementare che pensavamo avrebbe salvato
l’umanità dalla furiosa follia di quei tempi.
Aspiravamo a un nuovo ordine che potesse ristabilire
l’equilibrio tra il cielo e l’inferno.”
(Jean Arp)

il cuore ha tremato
il flusso dell’indecente ha forzato
un occidentale quotidiano consumonarcotizzato

il cuore tuo
cara amica
ha tremato
inquietato da
piccoli occhi interrogantimpauriti
acceso da
grida e pianti
scosso da
un’indifferenza devastante

fiamme sulla spiaggia di Gaza city
la corsa delle ambulanze è breve
l’assedio resta in piedi
inascoltato
feroce
sterminatore

i bimbi saltano e giocano
in un sole traballante
la palla
vola
galleggia
oltre
idee di pietra e cementi

le olive cadono premature e marce
come cani da caccia
si sparpagliano
cacciatori investiti
di un qualche valore spirituale
s’ingozzano
fanno il bagno
fanno pulizia

lo sguardo fisso nel vuoto
dove un boato ha lasciato
indelebile la sua impronta di
polveri urla e brandelli di cielo

la cena fumò e bruciò
tra i detriti delle stanze
sopra il balcone nuovo
mani e voci
le luci e la baia
la sabbia ha un buon sapore
oltre la marea

l’odore del mercato
ascoltando le sirene
di una fragile tregua
ancora quando
piove piombo
e dalle colline aride
appena pomeriggio
carrarmati e blindati
senza limiti di tempo
sversano
un fuoco biblico
per purificare la terra
per avere sicuro e largo dominio

corpi caldi e umidi
impolverati
le donne urlano
agli aerei in cielo
un incalzante lamento
si sparge
a ritmo infuocato
tra mura e carni sfarinate

la polvere fluttua
fumo che vomita
rumori di vita
soleggiati e sparati

è un luglio di giudizio
inesorabile
irrefrenabile

ne sentiamo l’odore

il vento asciuga umori
dentro fiori invisibili

le conchiglie stridono

sullo schermo
il grido della carne
s’infrange
s’affoga

come sopportare quel cielo
queste notti arrossate
questa bestiale propaganda
questa mia impotenza

e parliamo
cara amica
di occupazione
di genocidio
di infinite ingiustizie
di vergognose complicità
di indignazione
di
di
di

e guardiamo
gli aquiloni estivi
agitarsi nel cielo
sopra teste resistenti

nel luglio fuoco di Gaza city
le tue lacrime
macchie di sole
dentro voci di campane rotte

Sandro Sardella – Rasa di Varese . Luglio 2014

Ringrazio l’amico Sandro per avermi inviato questa bella poesia. Finalmente qualcuno esce da quell’isolamento nel quale molti poeti si rinchiudono pensando che la poesia sia altro, mentre invece è tutto quell’altro che non è poesia come la vita quotidiana, la politica, la guerra, che alla fine la giudicherà. E triste prendere atto da una parte dell’impotenza della politica e dall’altra del silenzio della cultura, poeti compresi (quasi tutti…?) che ci fanno assistere come spettatori alla strage quotidiana degli uomini, delle donne e dei bambini.

Un tempo il poeta serviva anche a risvegliare le coscenze, a denunciare, a prendere posizione non a stare al di sopra…oggi a forza di scavare nella propria di coscienza sembra incapace di venirne fuori. Eppure non mi pare molto diverso quello che oggi, in questo momento, viene messo in campo da Israele nei confronti dei Palestinesi rispetto a quello che nella storia è stato fatto ad altri popoli, etnie, razze e tribù…

So bene che non sono i contenuti di per se a rendere bella una poesia ma nel minimalismo quotidiano dei moltiinpoesia i versi di Sandro ci danno una scossa! E lo fanno con una precisa scelta di campo – Gaza city- e di quello che da quel punto di vista si vede e si sente con gli occhi, il cuore e la mente del poeta: questa è la forza sincera di questa poesia. Forse in alcuni passaggi i versi potranno apparire troppo descrittivi ma l’insieme complessivo è asciutto, incisivo. Interrogano le nostre coscienze quasi con violenza fino a quella domanda…

“come sopportare quel cielo

queste notti arrossate

questa bestiale propaganda

questa mia impotenza”

…che non ci lascia alibi. Mi permetto di collegare questi versi ad un altra poesia, sempre sullo stesso tema, scritta da un altro poeta amico, Ennio Abate, che in un passaggio scrive…

“ Come avremmo bisogno che le nostre orecchie ascoltassero il boato di una bomba
i nostri occhi osservassero le macerie degli edifici
e vedessero i corpi dei morti
e i corpi dei vivi che hanno ordinato quelle morti
come noi ordiniamo al salumiere tot grammi di carne sanguinolenta.”

Per il testo completo andare a questo link.