di Valerio Cuccaroni
poesia visiva, videopoesia, poesia elettronica, PJ set

e un dialogo con l’autore
Esiste un’arte pura e autosufficiente? autonoma da contaminazioni con le altre discipline? Direi che inevitabilmente lungo i confini di qualsiasi espressione artistica che ne delimitino l’area di competenza accade spesso che i vari codici espressivi si influenzino a vicenda e si contaminano. Perché questo non dovrebbe accadere anche alla poesia? e infatti non accade come ben documenta lo studio di Valerio Cuccaroni, dottore di ricerca in Italianistica all’università di Bologna e Paris IV Sorbonne nonché insegnante di Lettere nei licei, che indaga proprio sulle varie forme di ibridazione della poesia contribuendo a fare chiarezza di che cosa si intenda esattamente con videopoesia, poesia visiva, poesia elettronica e l’ultimo arrivato, il poetry DJ set o per farla breve, il PJ set.
Non si creda che parliamo di tendenze della contemporaneità. Uno dei meriti di questo testo è anche quello di fare un punto della situazione su artisti e movimenti attivi sulla scena da tempo. Pensiamo a Pignotti, artista della poesia visiva, con opere datate dagli anni 50, al gruppo 63 e gruppo 70 fino alle ultime tendenze.
La prima e più nota ibridazione della poesia è senz’altro quella con la musica. Percorso che può essere visto come un ritorno all’origine, alla forma poetica antesignana della comunicazione fondata sul canto, che dalla scuola siciliana ha poi trovato espressione nell’opera lirica fino alla canzone d’autore. Un rapporto articolato e complesso, “anfibio” secondo la definizione di Umberto Fiori.
Passiamo poi alla poesia visiva, prassi che prende le mosse come abbiamo detto fin dagli anni 50 e che utilizza secondo varie tecniche le immagini provenienti da varie fonti iconografiche. In questo caso la tecnica più diffusa, in era analogica, era il collage nel quale il testo assumeva una valenza complementare.
Da non confondere con la video poesia, che invece si colloca al confine con il cinema, in particolare quello non narrativo degli inizi, e che si caratterizza per il tentativo di intermediare il testo, che resta predominante, con le immagini.
Arriviamo così alla poesia elettronica e il PJset. La prima nonostante l’era digitale dovrebbe fare pensare ad una ampia produzione di fatto sono pochi gli autori che sfruttano le vere possibilità di un testo elettronico (un testo poetico scritto su blog non ne fa una poesia elettronica ma solo un testo scritto su un supporto non cartaceo). Non mancano anche in questo ambito i numerosi rimandi nel testo alle opere che possono essere visionate e fruite in rete.
Infine l’ultima ibridazione possibile, quella fra il frammento del testo poetico e la musica hip-hop, ska, house, ma anche più convenzionale, che crea un vero e proprio Set dove invece del DJ abbiamo un PJ, in un contesto di poesia giocosa.
Che la forma poesia si evolva storicamente credo che sia un processo del quale fondamentalmente se ne debba prendere atto. Questo non vuol dire che dobbiamo astenerci da un giudizio o perlomeno da una riflessione critica su tali evoluzioni. Parliamone direttamente con l’autore, che ringrazio per la disponibilità a rispondere alle seguenti domande:
- Il libro “poesia ibrida” evidenzia una volta di più come la tendenza della poesia contemporanea sia quella di spostare il baricentro dal testo, assertivo o meno che sia, alla dimensione performativa nel quale il testo assume un ruolo marginale. Non vedi il rischio che in questo processo si valorizza una poesia minimalista, nel senso del banale, provocando un corto circuito autoreferenziale?
- Ti ringrazio per l’attenzione e la domanda. Innanzitutto non direi che nella performance il testo assume un ruolo marginale, semmai complementare agli altri linguaggi, che si fondono per creare un’opera d’arte totale. Il rischio che in questo amalgama il linguaggio verbale perda consistenza, si diluisca troppo per rispondere a esigenze eteronome, come avvenuto in certi libretti d’opera e ancora avviene nella canzone d’autore, è concreto, esiste e persiste. Individuare quando questo rischio si concretizzi è il ruolo precipuo della critica. Ho cercato di darne un saggio nella critica a certi moduli formali usati da Umberto Piersanti nelle sue videopoesie.
- In questa tendenza performativa la poesia diventa in qualche modo una delle tante forme dell’intrattenimento (penso ad esempio al pubblico dello slam poetry). Non c’è niente di male in questo senso a fruire della poesia anche in un contesto giocoso ma se diventa la sola modalità? Non diventa il fiore Fortiniano da mettere sulle catene?
- La poesia è sempre stata anche una forma di intrattenimento, almeno fino a che ha perdurato la concezione classica delle tre funzioni dell’arte (docere, movere, delectare). L’idea che la poesia non sia compatibile con l’intrattenimento è un pregiudizio moderno, basato sulla sacralizzazione romantica della poesia, rilanciata in Italia da Benedetto Croce con la sua estetica neoideolistica, contestata dai Futuristi ma perdurante almeno fino alla metà del 1900, quando le nuove avanguardie desacralizzarono la poesia. Nanni Balestrini fu un sostenitore della slam poetry, che, del resto, ricordiamolo, è stata diffusa in Italia da Lello Voce, poeta colto, desideroso di restituire alla poesia il suo contatto con la comunità. La fruizione giocosa della poesia può coesistere, come nel Medioevo, nel Rinascimento e nei cadaveri squisiti surrealisti di cento anni fa, con la sua fruizione seriosa, questa, sì, assai più incatenante e mortifera di quella.
- Quali sono gli strumenti per un approccio critico alla poesia ibrida? quelli convenzionali riferiti ad un singolo ambito (il cinema, il verso, il figurativo ecc.) o è ipotizzabile che si formino strumenti che sappiano cogliere la globalità dell’opera (magari esistono e non li conosco io…)?
- La poesia è sempre stata anche una forma di intrattenimento, almeno fino a che ha perdurato la concezione classica delle tre funzioni dell’arte (docere, movere, delectare). L’idea che la poesia non sia compatibile con l’intrattenimento è un pregiudizio moderno, basato sulla sacralizzazione romantica della poesia, rilanciata in Italia da Benedetto Croce con la sua estetica neoideolistica, contestata dai Futuristi ma perdurante almeno fino alla metà del 1900, quando le nuove avanguardie desacralizzarono la poesia. Nanni Balestrini fu un sostenitore della slam poetry, che, del resto, ricordiamolo, è stata diffusa in Italia da Lello Voce, poeta colto, desideroso di restituire alla poesia il suo contatto con la comunità. La fruizione giocosa della poesia può coesistere, come nel Medioevo, nel Rinascimento e nei cadaveri squisiti surrealisti di cento anni fa, con la sua fruizione seriosa, questa, sì, assai più incatenante e mortifera di quella

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