di Giancarlo Majorino

In questi giorni ho riletto un testo poetico, o forse sarebbe più corretto dire che l’ho effettivamente letto per la prima volta, che quando fu pubblicato non dedicai particolare attenzione. Probabilmente allora non avevo gli strumenti per comprenderlo appieno, oggi forse qualcuno in più. Parlo di “Viaggio nella presenza del tempo” di Giancarlo Majorino, edito nel 2008 da Mondadori. Il libro non è una raccolta di poesie bensì un poema, un testo lungo e articolato che segue un filo conduttore non sempre evidente e riconoscibile, un testo che impegna il lettore senza fare sconti sia per la propria complessità formale che per i contenuti espressi.
Non è mia intenzione fare una recensione a tempo scaduto del libro, visto l’anno di edizione. Per questo rinvio ad una serie di lavori che cito in fondo all’articolo. Vorrei più semplicemente condividere gli aspetti che maggiormente, in questa nuova lettura, ho trovato per me significativi e che mi hanno spinto rileggerlo e apprezzarlo particolarmente.
E’ innanzitutto un testo estremamente complesso perché rappresenta e rende in una forma estetica non consueta, come il linguaggio della poesia, la complessità della società riferita ad un contesto storico preciso, quello tra 1969 e il 2007, coincidente in parte con l’esperienza di vita dell’autore. E non solo non è consueto il linguaggio della poesia, genere che riferito a questo libro è comunque limitante, ma soprattutto lo è quello del poema, strumento oggi scarsamente praticato e che rende l’operazione di particolare interesse. Un poema comunque anomalo se ci riferiamo alla sua definizione “classica”, cioè quella di una opera caratterizzata da unità formale e narrativa, che in questo caso ne ha poca. Se di unità si può parlare questa è riscontrabile nella cornice dei vari canti: il contesto storico di riferimento è Milano e il ceto medio che la popola negli anni del boom economico e della contestazione del biennio rosso 68/69.
Molto meno lo è sul piano formale. Majorino pratica le varie forme del linguaggio poetico in maniera del tutto “estrema” (dal verso classico alla frammentazione della parola, dalla citazione al calligramma ecc.) non per un gusto avanguardistico fine a se stesso, ma per creare una corrispondenza tra la complessità del reale, la sua contradditorietà, ed il linguaggio letterario per esprimerlo. Ritengo che questa ricerca sia uno dei nodi fondamentali, ineludibile, anche se dovesse portare alla conseguenze sulla fine di un genere, la poesia, così come l’abbiamo sempre concepita.
Il lettore attraversa così una serie di linguaggi quali la prosa, la citazione, la prosa poetica con continue forzature sul significato delle parole e la loro scomposizione e ricomposizione.
Parlando di tempo e di un viaggio attraverso di esso, che tutti noi facciamo più o meno consapevolmente, si evidenzia un altro elemento fondamentale: l’autore si cala nella propria condizione storica generazionale e personale e da questa scelta “ideologica” si coglie la radice che alimenta tutta l’opera. Il poeta non si colloca ne sopra ne sotto rispetto al fluire storico del tempo e alle vicende che lo caratterizzano, non lo osserva né da una parte né da fuori ma semplicemente dal “centro”. Da questa postura derivano le riflessioni sul senso di sconfitta per una società refrattaria al cambiamento, l’avanzare inesorabile e oggi credo compiuto, di una “dittatura dell’ignoranza”, ma soprattutto la ragione profonda della scrittura.
Davanti al fluire, soprattutto nella rete, di tanta poesia “generalista”, fatta propria anche da tanti autori noti (non mancano gli spunti per tornare sopra questo aspetto e lo farò), questa opera mi pare una boccata di ossigeno alla quale ritornare, anche criticamente e che si conclude in maniera se vogliamo semplice ma quanto mai necessaria per chi del proprio tempo ne conosce il dramma ora come allora.
l‘ultima guerra, di idee confido, porrà gli uni contro gli altri
religiosi e atei? quest’ultimi, i sicuri vincitori
dovranno rispettare, non martoriare, neppure giudicare
le fiammelle interiori, superficiali e profonde, che chiamavano Anima
a lungo a lungo dai venti nel proprio cuore ospitate, tremende speranza
è la pace tra i similidissimili in cui non si può non tendere
Per saperne di più:
- Poliscritture1 Viaggio di un cetomedista 20/05/2021
- Poliscritture2 Una serata con Majorino – 21/5/2021
- Poliscritture3 Sulle difficoltà della critica dialogante.
- https://moltinpoesia.blogspot.com/2023/03/moltinpoesia-appunto-3-sulla-difficolta.html?m=1
- L’ospite ingrato Riflessione di Franco Fortini su Majorino
- Nazione Indiana Voci su Majorino
- Doppio zero il molteplice nel singolo

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