Si conclude un anno che non esito a definire orribile. Non tanto per vicende personali (non tutto è andato come pensavo e speravo) o per le persone care che se ne sono andate (sempre troppe e sempre lasciando quella presenza del vuoto che solo la morte riesce a infondere) ma per il carico di dolore e devastazione che ha arrecato alla vita quotidiana di milioni di persone. Forse è solo una mia impressione e in realtà non c’è niente di nuovo, né per quantità né per qualità negli eventi che si sono succeduti. Forse sono solo io che ho fatto più attenzione a quello che accade, magari solo per essermi informato di più.

Oppure è l’anno nel quale sono cadute, da una parte le quinte posticce delle istituzioni con le quali si pensava di governare le relazioni tra paesi, popoli e stati in conflitto, dall’altra le ipocrisie degli ideali dei diritti umani, dell’uguaglianza di ogni persona qualunque fosse l’ideologia, religione professata, “razza” e contesto geopolitico di appartenenza. L’ideale, insomma, che potevano non essere solo la forza ed il potere economico-militare ad imporre la propria legge nel mondo.

L’anno che si è appena concluso credo sarà ricordato come quello nel quale, in maniera evidente, è venuto meno il senso e l’efficacia di qualsiasi tipo di istituzione sovranazionale, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite all’Unione Europea, dalla Corte Internazionale di Giustizia, Organo giurisdizionale dell’ONU, alla Corte penale internazionale. In questo anno è continuata senza sosta la guerra Russo-Ucraina che dal suo inizio nel cuore dell’Europa, ha causato la morte di un milione di persone (dato del settembre 2024), tra civili e militari, russi e ucraini; per quale scopo si sia consumato questo bagno di sangue è una domanda tutt’altro che banale, vista l’impossibilità di una “vittoria” da parte degli attori in conflitto, ormai generalmente riconosciuta, e che una trattativa realistica avrebbe portato più o meno alla stessa situazione oggi sul campo.

E’ l’anno nel quale è stato permesso e lo è tuttora, nel silenzio generale, allo stato di Israele non di condurre una guerra di difesa,  ma di portare a termine un genocidio con metodi feroci che si collocano al di la ed oltre ogni legge, norma, raccomandazione etica e morale. Abbiamo assistito a tutto il catalogo dei crimini di guerra possibili a partire dal primo e più importante: l’identificazione di una responsabilità collettiva del popolo palestinese, e di conseguenza una colpa generale, rispetto alle responsabilità individuali dei singoli e delle organizzazioni della società palestinese. Da qui il massacro senza scrupoli di civili, donne, bambini, e poi medici, giornalisti, le stesse forze di interposizione dell’ONU e poi bombardamenti di scuole, ospedali, qualsiasi tipo di struttura civile pubblica… E se denunciare questo significa essere accusati, anche personalmente, di antisemitismo, a questo punto lo ritengo un rischio assai minore che quello di essere tacciati di complicità omertosa, di essersi girati dall’altra parte per non vedere.

La legge del più forte non può che portare alla doppia morale per la quale, non tutte le persone sono uguali: sarà la contingenza geopolitica del momento a stabilire il valore tra un civile ucraino ed un civile palestinese, tra un giornalista americano e uno arabo, tra un bambino libanese ed uno israeliano, tra un medico palestinese, che non conta assolutamente niente, ed uno europeo (naturalmente sottointeso che qualcuno di questi soggetti elencati è “più” umano e gli altri meno o non lo sono affatto) . L’acquiescenza a questo modo di ragionare nel quale siamo indotti significa assimilare le fondamenta di un pensiero razzista dal quale nessuno può considerarsi immune, se non altro per il dato storico di appartenere a questa parte del mondo.

“Dopo gli spari, i cadaveri non vengono recuperati e attirano branchi di cani che vengono a mangiarli. A Gaza la gente sa che dovunque veda dei cani è meglio non andare”

testimonianze di soldati israeliani riportate da Haaretz – quotidiano israeliano

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5 risposte a “Doppio gioco”

  1. Avatar Thomas
    Thomas

    Di fronte all’inferno che hai lucidamente descritto, credo che le possibili reazioni non possano che essere le due che Calvino ha enunciato alla fine delle “Città invisibili”: “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

    Penso non ci sia molto altro da aggiungere.

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    1. Avatar luca chiarei
      luca chiarei

      Molto bello Thomas, mi ha colpito veramente. Penso che la letteratura ‘vera’ è quella che dopo averla letta ti cambia e questo passo, che non conoscevo, mi ha fatto questo effetto. In effetti non ho mai letto quel libro di Calvino, rimedierò senz’altro. Grazie ancora, di cuore.

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  2. Avatar Ivana Daccò

    Terribile, sai, quell’emoticon: mi piace. Che giustamente significa concordo con te, <mi piace> che sia dica, in tanti, che tutti dicano ciò che tu hai scritto. Dunque, chiaro, lo posto.

    Confesso che non riesco a pensare che il prossimo anno qualcosa potrò davvero risolversi, se non altro perché non c’è <qualcosa> (un più o meno cessate il fuoco, un recuperiamo un po’ di ostaggi diamo in cambio un po’ di prigionieri, da ammazzare poi, come normali civili a casa, tra le macerie, di casa, loro) da risolvere. C’è tutto, ci siamo tutti noi, ma proprio tutti, come specie umana.

    Si spera, tuttavia; ci si sforza alla speranza; impossibile non farlo

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    1. Avatar luca chiarei
      luca chiarei

      Ti ringrazio per l’apprezzamento e per quello che scrivi. Anch’io non credo che l’anno nuovo porti uno spiraglio di speranza. Anzi ad essere sincero credo che stiamo dentro una sorta di conto alla rovescia. Spero di essere smentito naturalmente. Resta la coerenza almeno con noi stessi, fare quello che si può dove si è e questi versi di Fortini che credo tu possa apprezzare:
      “…La natura per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
      non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi” da – Traducendo Brecht –

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      1. Avatar Ivana Daccò

        È così. È Fortini.

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