
“per chi desidera parlare con naturalezza e dare libero sfogo ai sentimenti, la poesia probabilmente non è il mezzo di espressione più appropriato” Michail Wachtel
E’ questo il titolo del bel libro di Andrea Agliozzo, dottore di ricerca in Italianistica a Sorbonne Université e all’Università Ca’ Foscari di Venezia, che affronta e sviluppa la questione della metrica nel sistema poetico Fortiniano, un tema importante se non fondamentale ma allo stesso tempo marginalizzato nelle discussioni non accademiche relative allo scrivere versi. In effetti sembrerebbe non avere senso discutere nel 2024 ancora di metrica e forma, in un periodo in cui la struttura che pare affermata sia quella di non avere strutture e schemi (quasi banale rilevare che anche questo è uno schema metrico), fino al limite della identificazione del testo poetico per quello che non è, la prosa.
Personalmente le questioni della metrica mi hanno sempre interessato sia come studio diacronico delle evoluzioni e consuetudini che ci hanno condotto al nostro presente, sia come sintassi di una espressione artistica, spesso confusa in una forma di spontaneismo emotivo. Per quanto il mio approccio alla scrittura è stato inizialmente dettato dall’esigenza di immediatezza espressiva, in un contesto nel quale la spontaneità era un elemento valoriale, ho sempre sentito il problema di avere una base di “appoggio” sul quale collocare contenuti.
La metrica in questo senso, per quanto sperimentata e sperimentabile secondo canoni flessibili, è per me diventata un’esigenza, una necessità e un tema di approfondimento, per quanto a volte ostico. Ed è stato lo studio di Fortini a farmi comprendere quanto la questione della metrica non sia una forma di erudizione per un approccio elitario e aristocratico alla poesia e alla cultura in generale, ma un riflesso di una organizzazione sociale più complessiva. E che l’atto dello scrivere si colloca sempre in un contesto storico preciso.
Per queste ragioni un testo come “Mutarsi in altra voce. Metrica, storia e società in Franco Fortini” di Andrea Agliozzo edizioni Quodlibet, non poteva sfuggirmi e per quanto le mie conoscenze me lo consentano mi pare un testo fondamentale non solo per un inquadramento generale della questione, ma anche una guida all’atto consapevole dello scrivere.
Il saggio di Agliozzo descrive esaurientemente le argomentazioni ideologiche di Fortini ed il loro riflesso nell’ambito letterario tra le quali sottolineo la sua battaglia contro una certa idea di “lirica soggettiva autobiografica diaristica”, oggi credo prevalente, che si muoveva sullo stesso piano della critica ad un intero ordine socioeconomico che sorregge il mito dell’artista.
“Se il male è nella mercificazione dell’uomo, la lotta contro quel male non si conduce a colpi di poesia ma con “martelli reali”(Breton). Ma la poesia alludendo con la propria presenza-struttura ad un ordine del valore possibile-doveroso formula una delle sue più preziose ipocrisie ossia la consumazione immaginaria di una figura del possibile doveroso. Una volta accettata questa ipocrisia (ambiguità, duplicità) della poesia diventa tanto più importante smascherare l’altra ipocrisia, quella che in nome della duplicità organica di qualunque poesia considera pressoché irrilevante l’ordine organizzativo delle istituzioni letterarie e, in definitiva, l’ordine socio economico che le sostiene.”
Ampia parte del saggio è dedicato al testo del 1958 di Fortini “verso libero e metrica nuova” nella quale teorizzava l’ipotesi di una nuova metrica italiana, che stava emergendo dai lavori dei poeti a lui contemporanei, non più basata sulla scansione sillabica ma sulla cadenza degli accenti. Altrettanto interessante la parte dedicata ad una indagine “antropologica” del rapporto «metro-ritmo» sviluppata a partire dal lavoro di Ernesto De Martino La terza e ultima parte espone i limiti di una metrica in quanto “misura aritmetica” del verso.

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