il senso della letteratura…

di luca chiarei

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David Foster Wallace, immagine tratta dal sito http://viz.dwrl.utexas.edu

Il senso della letteratura…è una bella domanda alla quale non sono certo in grado di rispondere ma stimolato da un incontro fortuito avvenuto in rete, abbozzo una semplice riflessione. L’incontro è con David Foster Wallace che ho ritrovato  in questo post a lui  dedicato, autore fondamentale per la mia “formazione”, soprattutto per la sua opera saggistica. Lo ammetto, i suoi testi principali quali “La scopa del sistema” e “Infinite gest” mi attendono con le loro migliaia e migliaia di pagine sugli scaffali della libreria e per questo probabilmente sto perdendo il meglio della sua opera. Forse questa mia conoscenza ancora parziale vizia il giudizio ma, comunque stiano le cose, DFW resta un punto di riferimento.


Questa nota sugli appunti ritrovati di DFW mi ha particolarmente colpito perchè da conto di un aspetto per me fondamentale della sua riflessione: la necessità che la letteratura non sia fine a se stessa ma abbia un senso e contribuisca a darne uno per la vita quotidiana personale e politica di ogni uomo, che sia “…roba importante da conoscere da parte di altri esseri umani”, oppure detto alla DFW: “Le affermazioni semplificatorie del tipo “…non so, pensavo che la poesia fosse, cioè ok” non portano molto lontano.”
In questo senso aggiungo una parte del discorso tenuto da DFW ai giovani laureati in lettere del Kenyon college il 21 maggio del 2005 pubblicato nel libro “Questa è l’acqua” Einaudi 2009. Dopo avere raccontato la nota storiella dei due pesci che si incontrano, nella quale quello anziano chiede a quello giovane “com’è l’acqua oggi?” e quello risponde “l’acqua? che cosa è l’acqua?”… così commenta:

“…la vera, fondamentale educazione (degli studi umanistici) a pensare che dovremmo ricevere in un luogo come questo non riguarda tanto la capacità di pensare, quanto semmai la facoltà di scegliere a cosa pensare. Se la vostra totale libertà di scegliere a cosa pensare vi sembra fin troppo ovvia per sprecare il fiato a parlarne, vi chiederei di pensare ai pesci e all’acqua, mettendo da parte, solo per qualche istante, ogni scetticismo sul valore delle perfette ovvietà.”

Poi prosegue sul tema della consapevolezza

“…è molto difficile rimanere consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal monologo costante all’interno della vostra testa (potrebbe anche stare succedendo in questo momento). Vent’anni dopo essermi laureato, sono riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintentico per esprimere un’idea molto piu significativa e profonda: “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai.”

E infine conclude:

“…il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti. Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito.”

Ecco qualcosa su cui vale la pena riflettere, almeno per me, quando si apre un libro o si prende una penna in mano per scrivere della realtà, di un altra possibile.