Fogli di carta…
di luca chiarei

ernesto treccani popolo di volti – da http://www.settemuse.it
> Poeti a Varese – Nuova editrice Magenta 2014
Ho tra le mani questo libro che per tante ragioni non mi lascia indifferente, anzi potrei dire che mi sta a cuore. Vuoi perchè rimanda ad un luogo nel quale ho vissuto tanti anni e ancora vivo, se pure in maniera più laterale, sia perchè coinvolge tante persone conosciute per l’interesse comune della poesia e della cultura. Parlo dell’antologia “Poeti di Varese” NEM edizioni alla quale, come ho scritto altrove in questo blog, per quanto gentilmente invitato ho deciso a suo tempo di non partecipare. Ora che il libro è uscito, per verificare la scelta di allora, mi pare opportuno tentare/rischiare una riflessione consapevole di tutte le conseguenze, soprattutto quella di sbagliarmi…
So bene che quando si dichiara la volontà di riflettere e esprimere una critica a poesie altrui l’obiezione ricorrente è che per esprimere un giudizio si deve essere capaci, preparati, formati culturalmente ecc. ecc. Altrimenti si possono esprimere valutazioni ingiuste diventando responsabili di chissà quali misfatti…
Tutto vero, certo, ma questo scrupolo non dovrebbe valere anche per coloro che prendono una penna in mano e decidono di scrivere poesie? di mettere nero su bianco pensieri, sentimenti, fatti personali ecc.? Non mi pare che in effetti sia così, anzi, in questo secondo caso vi è una maggiore indulgenza, una accettazione generalizzata per tutto quello che viene scritto, sintetizzato nell’imperante “mi piace” timbrato facebook. Io penso semplicemente che ad ogni “mi piace”/”non mi piace” dovrebbe corrispondere un ragionamento, un perchè che non sia solo emotivo, per il quale sia necessario un tempo maggiore di quello che serve per un click.
La critica ovviamente non può essere mai oggettiva, nel senso che non abbiamo per la letteratura e la poesia un sistema metrico decimale a disposizione che la misuri e la pesi come si fa con lo spazio o con i corpi fisici. Ogni valutazione e giudizio è per definizione a sua volta discutibile e opinabile, capace però di acquisire più o meno consenso tra lettori e autori. Non per questo però non deve essere mai espresso: la critica è necessaria per la poesia e per i poeti (non la mia certamente ma in generale non si può negare questa affermazione), affinchè l’arte che ne deriva sia un valore che aggiunge senso ulteriore alla presenza umana, e non un sistema autoreferenziale e compiacente.
Venendo dunque ai poeti di Varese ho cercato nella lettura un filo conduttore comune, quali i contenuti espressi e le forme. A parte la considerazione auto evidente che i poeti di Varese si possono anche vedere (per ognuno di loro c’è una foto e una piccola biografia), e nello stesso tempo chiedersi quale ne sia la ragione e che cosa questo aggiunga ai testi, ho rilevato alcuni elementi:
– sul piando dei contenuti l’impressione è che a Varese si viva in un altro paese e contesto sociale. Un mondo assolutamente pacificato nel quale tutte le questioni che ci stanno travagliando da anni semplicemente non esistano: di crisi economica e culturale, corruzione, immigrazione, precarietà, guerre, violenza di genere, ambiente ecc. ecc. non se ne vede traccia, se non qualche sporadica eccezione che mai come in questo caso conferma la regola. In quasi tutti i testi, come rileva anche Giacometti nella introduzione, “domina incontrastata la scelta di dare spazio al proprio sguardo interore” e pertanto sono incentrati su io poetici che parlano a se stessi, al massimo a qualche tu imprecisato, amoroso o parentale, raramente alla propria comunità. Questo atteggiamento potrebbe essere un elemento di speranza che la poesia apre sul futuro? sinceramente non capisco come questo possa accadere se la realtà è semplicemente scavalcata. Per me nella poesia si dovrebbe anche manifestare una sensibilità capace di allargarsi al travaglio della comunità umana e politica (nel senso della polis) nella quale si vive, e non limitarsi all’interiorità personale e li rimanervi. Ovviamente se si pensa invece che la realtà sociale non abbia niente a che vedere con la poesia, che si colloca ad altri livelli dell’esistenza, metafisici o spirituali (quali?), questo elemento che ai miei occhi rappresenta un limite per altri non potrà che essere valutato positivamente.
– anche sul piano della forma ho rilevato una uniformità di toni e stile generalizzata, salvo qualche eccezione. Mi pare che predomina un tono medio, la poesia descrittiva, piana, lineare che procede senza scosse, spostamenti di senso, turbolenze, spesso estetizzante e incentrata su descrizioni immaginifiche della natura o delle propria percezioni sensoriali. In questo senso coerente con il tipo di contenuti veicolati.
Detto questo capisco lo spirito dell’introduzione quando afferma che si deve andare “al di la degli esiti dei vari percorsi che vengono proposti”, lasciando “all’insindacabile giudizio dei lettori” qualsiasi tipo di valutazione, ma non mi sento di condividerlo. Intanto mi domando semplicemente perchè si dovrebbe fare così? quando una poesia esce fuori dal cassetto diventa pubblica e pertanto valutabile e apprezzabile come qualsiasi altra espressione della creatività umana. La realtà dei moltinpoesia “fenomeno nazional-popolare”, come è definita da Giacometti, penso che sia potenzialmente importante se passa al vaglio, e lo accetta, della critica come un processo collettivo e assolutamente sindacabile. Non mettendosi al di fuori di tutto ciò. Se il “campionato tra correnti e scuole è finito” questo non vuol dire che non ci siano punti di vista plurali su cosa si debba intendere per poesia e come valutarla, a meno che non si volesse dire che è la critica in quanto tale a non avere un senso in questo ambito.
La volontà di rappresentare la poesia espressa dal territorio è stato un progetto senz’altro apprezzabile, ma credo che il criterio di censire semplicemente l’esistente senza tematizzarlo ne possa rappresentare il limite. Chi non ha una poesia nel cassetto? Chi merita e chi no di essere portato alla luce e perchè? Se questi criteri non vengono espressi si corre il rischio di fare un inventario, nel quale può entrare tutto e il suo contrario, un catalogo il cui senso a mio parere resta sfumato ma non per questo privo di valore..