Levatrici
di luca chiarei
Levatrice di se stessa
stelo inconsapevole da madre a cenere
da radice a cielo spina neo
che si insinua restare sveglio senza
scosse continuare metamorfosi
vivere senza un battito che
ti perdoni
Non la luce di un film è una carezza
ne acqua ti lascia andare mentre
ogni sospiro che fai è un figlio
che non c’è o quello che
non ti riconosce più
e non impari da madre in padre
che quello che scorre il sangue
non è più quello che pensi
è diventato altro
a natale non so quello che faremo
“ogni sospiro che fai é un figlio che non c’é…”
notevole 🙂
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ti ringrazio
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ci mancherebbe 🙂 prego 🙂
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…mi piace molto la poesia “Levatrici”, anche se nel segno della nostalgia e dello spaesamento: trasmette un sentimento di vuoto, di precipizio…in quel canalone forse che è stato “costruito” tra i versi? ma può essere inteso anche come il muro del distacco. Così, credo, succeda di provare un po’ a tutti noi genitori, biologici o no, quando non ci riconosciamo più nei nostri figli e loro in noi…viene il momento della separazione dai cari nati per “le levatrici”: “a natale non so quello che faremo”
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Questa poesia è la conseguenza del viaggio mai risolto e compiuto che ognuno attraversa tra l’essere figli e genitori nello stesso tempo. Poi un film, “Viaggio a Tokyo” di Ozu, l’ha estratta…un film che affronta senza retorica ne banalità il tema di questa trasformazione. Da vedere.
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grazie Luca, quando potrò andrò a vedere “Viaggio a Tokio”…
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